GIORNO PER GIORNO 24 gennaio
- Andrea Colombu
- 1 mar 2021
- Tempo di lettura: 2 min
Cronologia di storie della Beat Generation, della Controcultura e altro ancora.
24 gennaio 1888

Jacob L. Wortman brevetta il nastro della macchina da scrivere.
L’americano Charles Olson (Worcester, 1910 – New York, 1970), definito anche il poeta delle Black Mountains scrive: “Il vantaggio della macchina da scrivere per la sua rigidità e la precisione degli spazi, può, per un poeta, indicare esattamente il respiro, le pause, perfino le sospensioni delle sillabe, la giustapposizione di parti o intere frasi. (…) Per la prima volta egli può, senza la convenzione di rime e metrica, registrare l’ascolto che ha fatto con il proprio ‘speech’ e tramite ciò indicare come vorrebbe che altri lettori dessero voce al suo lavoro.”
Jack Kerouac è stato uno degli scrittori più rapidi nel battere a macchina, in grado di superare le 100 parole al minuto. Così scrisse On the road sotto forma di dattiloscritto, usando un rotolo di carta per telescrivente che nel 2001 sarebbe stato venduto all’asta da Christie’s per quasi 2 milioni e mezzo di dollari. Lo comprò il proprietario di una squadra di football americano, tale James Irsay, che sborsò la cifra astronomica di 2 milioni e 426 mila dollari Per Kerouac il suono dei tasti, la battitura, le pause e la ripresa avevano lo stesso impeto del BeBop, del Jazz di Charlie Parker, il ritmo di Cecil Taylor al piano, davano la possibilità di esprimersi con impeto, assecondando l’istinto e la velocità con cui nella mente si inseguivano i pensieri e le sensazioni. Kerouac usava abitualmente una portatile Underwood, e dal 1958, anno in cui uscì il primo modello, si innamorò della Hermes 3000 – 1 – modello “curvy”, in seguito considerata la “sua” macchina da scrivere. “Ho scritto un romanzo su una striscia di carta lunga 120 piedi… fatta srotolare sul pavimento sembra proprio una strada.” Una strada fatta dal susseguirsi di taccuini d’appunti, di note mandate a memoria, riportate con velocità record su una tastiera di una macchina da scrivere. Il poeta Philip Whalen scrisse di lui: “Il rumore che si sentiva di più quando batteva a macchina era la leva del carrello che sbatteva, e poi di nuovo, e poi ancora. il campanellino che faceva ding dong ding dong ding dong. E lui rideva e diceva: “Guarda qui!” E poi batteva e rideva. Poi faceva un errore e questo lo sviava in un nuovo paragrafo, in un giro buffo di qualche tipo.
(vedi il testo di Saverio Paffumi http://www.museodellamacchinadascrivere.org/wpcontent/uploads/2016/10/ICON_STORIE_macchinedascrivere.pdf )
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