top of page

GIORNO PER GIORNO 19 febbraio


19 febbraio 1956.

Lo scrittore Richard Brautigan viene dimesso dall’ospedale psichiatrico dove era stato rinchiuso il dicembre precedente, dopo aver frantumato con un mattone una vetrata di una stazione di polizia.

Richard Brautigan, prima di diventare l’amatissimo scrittore della San Francisco libertaria di Haight Ashbury, prima dell’uomo che con malinconia sapeva far sorridere i suoi occhi, i baffi e persino il cappello, era stato un ragazzino solitario, nato a Tacoma nello stato di Washington in una famiglia povera, una madre che passava da un lavoro precario all’altro e un padre mai conosciuto. Solitario per tutta la vita ma capace di stare con naturalezza in mezzo a qualunque ambiente e gruppi umani, artisti, scrittori, attori e soprattutto frequentatori di bar e caffè. Come Ignatz Mouse, il topo dispettoso e iracondo comprimario del cartoon Crazy Kat di George Herriman, a volte l’ira e la rabbia cercava di smaltirle lanciando mattoni. Durante una festa ne aveva tirato uno direttamente su una finestra perché, aveva detto: “Non voglio che le cose siano prevedibili”. A vent’anni, perdutamente innamorato di una ragazza di nome Linda, che non aveva tanto interesse per lui, decise di farsi arrestare, sempre come Ignatz Mouse perennemente in prigione e, per esserne sicuro, entrato in una stazione di polizia, tirò fuori da una tasca un mattone frantumando una vetrata. Ma si sa, se tiri un sasso, o un mattone alla polizia sei pazzo e se sei pazzo finisci in manicomio. E così il poeta e scrittore veniva condannato a una multa di 25 $, internato all’Oregon State Hospital dove gli venne diagnosticata la schizofrenia paranoide depressiva e sottoposto al trattamento con elettroshock per una dozzina di volte. Dimesso, dopo un breve ritorno in famiglia, entrò a far parte del folto gruppo di artisti che avevano fatto di San Francisco la loro capitale. Iniziò a frequentare poeti e scrittori come Jack Spicer, Robert Creeley e Gary Snyder; alcuni non li sopportava, in particolare Ginsberg che ricambiava.

Non sopportava di essere assimilato alla scena Beat e neanche alla Controcultura con cui per altro condivideva frequentazioni e interessi.

Sosteneva di amare solo i classici col desiderio di scrivere come loro: Stephen Crane, Mark Twain, Ambrose Bierce, Emily Dickinson, William Faulkner, Scott Fitzgerard. I suoi romanzi sembrano avere il gusto della parodia, soprattutto nella sua produzione finale. Un aspetto che però ha sempre cercato di confutare: “Non esiste parodia nei miei libri” aveva affermato in un’intervista al giornalista belga Jean-Baptiste Baronian “Non credo nella parodia. D’altro canto, mi piacciono i giochi. Adoro giocare. Quel che scrivo ha una forte componente giocosa, e quando si è giocosi è inevitabile lasciarsi attrarre dall’umorismo. E poi, io amo la vita, in ogni suo aspetto. Amo bere, mangiare, pescare, fare l’amore, e tutto questo lo ribadisco nei miei libri. Perché parlare di parodia, allora?”

Aveva iniziato giovanissimo a trasformare la sua fervida immaginazione in poesia, con dei versi che il critico e romanziere Thomas McGuane vide sollevarsi in movimento “come cavallette in volo”. A metà anni Sessanta aveva pubblicato a sue spese una raccolta di poesie che distribuiva in strada dentro pacchetti di semi con il titolo “Pianta questo libro”. Legato alle storie orali della Grande Depressione degli anni Trenta aveva assimilato i sentimenti che la sabbia aveva sedimentato nella coscienza dei poveri e degli emarginati mischiandola all’epica degli agricoltori in fuga dalle Dust Bowl, le tempeste di polvere che per decenni si erano susseguite dall’Oklahoma al Texas per la siccità e il super sfruttamento monocolturale del territorio . “Prima che il vento si porti via questa polvere… polvere americana”.

“Me ne stavo lì seduto, a fissare il loro salotto che risplendeva nel buio, vicino al lago. Sembrava quasi una fiaba a lieto fine nel cuore gotico dell’America del secondo dopoguerra, prima che la televisione menomasse l’immaginazione collettiva e rinchiudesse la gente in casa, impedendole di vivere con dignità le proprie fantasie. A quei tempi la gente aveva un’immaginazione tutta propria da coltivare, e del resto i piatti si preparavano in casa. Ora i nostri sogni si incarnano in una qualunque strada americana, costellata di ristoranti di catena. A volte mi viene da pensare che perfino la nostra digestione sia una colonna sonora registrata a Hollywood da una delle tante reti televisive.”

Si possono leggere i romanzi di Brautigan come un pessimistico commento del tramonto americano, oppure come un partecipato ottimismo alla resistenza quotidiana di chi non si arrende alla mancanza di dolcezza e fantasia. Ci si può accostare all’uomo,al poeta,allo scrittore con curiosità e lasciarsi prendere all’amo oppure cercare di sfuggirgli, ma non gli si rimane indifferenti.

Ken Kesey, il psichedelico autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo e animatore dei Trip Fest, ricorderà lo scrittore morto suicida a 48 anni così: “Tra cinquecento anni, quando tutti noi saremo stati dimenticati, la gente leggerà ancora Brautigan”


19 e 20 febbraio 1969

Berkeley: due giorni di scontri tra polizia e studenti afroamericani, latinos, asiatici e bianchi organizzati nel Fronte di Liberazione del Terzo Mondo durante lo sciopero più lungo della storia dell’università.

Lo sciopero degli studenti promosso da TWLF (Third World Liberation Front) prosegue da molti mesi al San Francisco State College a Berkeley, rinnovando in continuo le forme di lotta. Il presidente dello stato della California Ronald Reagan li aveva definiti “Una fazione di dissidenti e delinquenti”. I dirigenti del campus avevano dichiarato inaccettabili le richieste degli studenti entrati in sciopero quando due docenti afroamericani, Nathan Hare e George Murray, vicini al Black Panther Party, erano stati allontanati perché avevano inaugurato dei corsi che prevedevano la storia e la cultura dei neri e dei nativi americani. In molte università erano nate strutture organizzate di studenti che rivendicavano nuovi contenuti dell’insegnamento ed erano state indette giornate comuni di lotta, ma in nessun altro luogo come a Berkeley la protesta aveva assunto tanta radicalità e unanime decisione di resistere. Anche parte dei docenti si era schierata a favore del reintegro dei docenti allontanati e per accogliere le altre richieste degli studenti, che ormai non si accontentavano di studi ghettizzati in un corso ma chiedevano un Dipartimento di Black Studies e un cambio di programma di studi non più eurocentrico, forti dell’unità interetnica raggiunta. Da alcuni anni ormai le lotte dei nativi americani con l’American Indian Movement, i latinos con i Brown Berrets e lo Young Lord Party e gli afroamericani con il Black Panther Party sono entrati con forza e decisione nel crogiuolo di lotte,aspirazioni e prospettive di cambiamento che contagia tutti gli Stati Uniti.

Dopo mesi di picchettaggi, occupazione di uffici, al rientro dopo le vacanze natalizie la situazione si era fatta più tesa: il 24 gennaio c’erano stati 380 arresti e il 4 febbraio, il giudice della Corte Superiore della California, Henry Ralph, aveva ordinato lo sgombero e il 5 l’amministrazione del Campus aveva richiesto la proclamazione da parte del governatore dello stato d’emergenza . La polizia, entrata in forze per arrestare i supposti leader della lotta veniva respinta da migliaia di studenti. Per settimane la polizia tentava di spezzare i picchetti e di interrompere le assemblee. Ma dopo queste ultime azioni repressive anche i docenti dichiaravano lo sciopero a oltranza in solidarietà. Per tutto il campus ci si prepara ad affrontare lacrimogeni. Il 19 febbraio si tengono nuove assemblee per decidere come rispondere all’intervento della Guardia Nazionale arrivata in sostituzione della polizia. Ovunque piccoli gruppi d’informazione, collettivi di studio, gruppi di resistenza ai cancelli. La lotta di Berkeley diventa l’esempio per tutte le università: attraverso la loro visione di un’università aperta, legata e stimolata da comunità storicamente escluse dalle strutture universitarie, aveva lanciato una sfida più ampia alle strutture di potere oppressive all’Università, negli Stati Uniti e in tutto il mondo.

Per questo l’irruzione della Guardia Nazionale il 20 diventa particolarmente brutale. Non si devono impedire solo i picchetti bisogna disperdere i gruppi di informazione e quelli di studio. Anche il Daily Cal, giornale del campus moderatamente liberal che in precedenza aveva assunto posizioni contraddittorie, se non di distanza, accusa la violenza brutale dell’intervento poliziesco e persino il suo direttore risulta tra gli arrestati del 20 febbraio. La battaglia dura ore: la tecnica era stata sperimentata.: sui volti degli occupanti fazzoletti, acqua e limoni per neutralizzare il gas, guanti di protezione per rilanciare i lacrimogeni. Divisione in piccoli gruppi per sfuggire agli uomini in divisa e infine lasciare in massa gli edifici dopo le 18, 30 per farvi ritorno il giorno dopo.

Lo sciopero interetnico del TWLF diventerà un momento decisivo nella lotta antirazzista e porterà a durevoli mutamenti. Continueremo a ricordarlo nel blogbizarre in altre decisive date di marzo.

0 visualizzazioni
bottom of page