GIORNO PER GIORNO 10 gennaio
- Andrea Colombu
- 1 mar 2021
- Tempo di lettura: 3 min
Cronologia di storie della Beat Generation, della Controcultura e altro ancora
10 gennaio 1970

Ottantesima e ultima rappresentazione di Paradise, Now! del Living Theatre
(dall’articolo di Carla Pagliero La scena del conflitto. Il teatro in piazza del Living Theatre, la cui lettura integrale altamente consigliata)
Per il Living le contraddizioni fra teoria e pratica di teatro rivoluzionario si evidenziarono in progressione e culminarono proprio durante le rappresentazioni di Paradise, Now!, quando gli studenti contestarono al collettivo di portare il loro spettacolo in giro per teatri invece che nelle fabbriche e nelle strade. “Noi – scrive Beck – che dicevamo a una società: “Respingi le strutture, effettua la metamorfosi, abbandona il bozzolo, tiratene fuori”, eravamo ancora lì, ancora dentro i teatri: gli studenti ci stavano aggredendo con la verità: dovevamo uscirne fuori” (6 maggio 1970)
Paradise, Now! forse l’opera teatrale più emblematica del ’68, nasce in questo contesto. L’idea che ispira il testo teatrale è l’utopia della “Bella Rivoluzione Anarchica Nonviolenta”. “Il teatro è il Cavallo di Legno per prendere la città”, scriveva Beck nel 1967, e dobbiamo fare in modo che “tutti i soldati si dimettano, tutte le porte si aprano, tutti i fucili vengano accecati, tutta la gente abbia da mangiare e tutti gli assassinii finiscano. Questa la sceneggiatura/ per l’unico spettacolo/ che mi interessa”. Paradise, Now! è concepito come un percorso politico spirituale sulla strada che conduce alla rivoluzione. Un percorso da effettuare per tappe sull’esempio dei rituali religiosi, dove la liberazione di tutti gli uomini, rappresenta l’ultimo atto (non ancora realizzato), l’ultimo gradino di una scala simbolica verso la rivoluzione. Nell’opera confluiscono atteggiamenti ideologici e suggestioni mistiche diverse che danno un respiro cosmopolita e spirituale al programma rivoluzionario.
La struttura rappresentativa è schematizzabile con una scala di otto gradini, composti ognuno di tre momenti, che fanno ricorso a modi diversi di approccio con il pubblico: il rito, la visione, l’azione. Il rito è un’occasione di riflessione degli attori, un momento di meditazione attraverso lo yoga. La visione è il momento di confronto con il pubblico, le visioni sono sviluppate come tableaux vivants, gli attori sono in piedi, a braccia alzate: totem umani. L’azione è, invece, un invito esplicito rivolto al pubblico perché partecipi alle situazioni suggerite nelle varie scene. Le varie parti dell’opera venivano adattate alle situazioni che si venivano a creare durante le manifestazioni, un work in progress dove agli attori era lasciato il compito di stimolare le reazioni del pubblico. Il testo, una creazione collettiva del gruppo, venne allestito nel luglio del ’68, in occasione del Festival di Avignone. Come si può facilmente intuire, l’happening provocò nette opposizioni e lo spettacolo divenne l’occasione, in prima istanza, di uno scontro duro tra le varie componenti politiche. Il Living richiese la partecipazione aperta del pubblico e l’ingresso gratuito e lo spettacolo in quell’occasione si trasformò in uno scontro aperto con le istituzioni e le forze dell’ordine, con gli attori del Living che cercavano di coinvolgere il pubblico presente e quello rimasto fuori dei cancelli: un invito esplicito all’azione, a muoversi, ad agire. Le parole/slogan finali: “Il teatro è nella strada. La strada appartiene alla gente. Liberate il teatro. Liberate la strada. Cominciate”, avrebbero dovuto segnare l’inizio del vero spettacolo; la rivoluzione che incomincia dalla strada con la partecipazione popolare. In realtà accadeva che, scemata la spinta emotiva iniziale, gli attori non riuscivano a coinvolgere gli spettatori, spaventati all’idea di essere coinvolti attivamente nello spettacolo e impauriti di fronte alla novità della situazione. In questo senso, l’esperimento Paradise, Now! non può considerarsi un esperimento riuscito, tuttavia la sua importanza nella storia del teatro degli ultimi quarant’anni è davvero significativa, anche se la sua “qualità magica”, come scrive Massimo Dini, si dissolve quando viene a mancare la componente essenziale dell’opera: la partecipazione del pubblico.
10 gennaio 1967
Il poeta Michael McClure descrive la scena di San Francisco e i preparativi per l’Human be-in: “Questo era un tempo di freddo, grigio silenzio. Ma all’interno dei caffè di North Beach, poeti e gli amici percepirono l’atmosfera di liberazione… Stavamo ripristinando il corpo, con la voce come estensione del corpo”
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