GIORNO PER GIORNO 9 gennaio
- Andrea Colombu
- 1 mar 2021
- Tempo di lettura: 3 min
Cronologia di storie della Beat Generation, della Controcultura e altro ancora.
9 gennaio 1950

Giorno di gloria: nasce David Johansen la mente più lucida della band più sguaiata e irregolare degli anni ’70, New York Dolls: improbabili bambole uscite direttamente da un racconto newyorchese di William Bourroughs aggiornato ai tempi del rock ‘n’roll di strada.
9 gennaio 2014
Il 9 gennaio 2014 Judith Malina, co-fondatrice insieme a Julian Beck nel 1947 del Living Theatre, risiede a Engelwood, nel New Jersey, presso The Lillian Booth Actors Home, dove verrà a mancare il 10 aprile 2015. È in questa casa di riposo per attori che avviene l’incontro con lei e con Thomas Walker, attore della compagnia statunitense dal 1971 e oggi responsabile dell’archivio e direttore artistico associato. La conversazione, che nasce grazie a un dottorato di ricerca sulla vocalità nel teatro del secondo novecento (svolto presso il DASS, Sapienza-Università di Roma), ruota attorno alle pratiche ed estetiche legate all’uso della voce e alla declinazione che ne dà il Living Theatre.
(articolo e intervista di Mauro Petruzziello https://webzine.sciami.com/politiche-della-verita-uso-della-voce-nel-living-theatre)
A me interessa essere politicamente in fiamme per far sì che la rivoluzione venga fuori correttamente: in tal modo sei talmente impregnato da avvolgere qualcuno con le tue idee che bruciano. (Judith Malina nell’intervista)
Nel lavoro del Living Theatre c’è stata un’evoluzione nella ricerca sulla voce?
Judith Malina [da qui in poi M.] No! No! [Lo ripete in modo fermo, n.d.i.]. Non abbiamo mai lavorato molto sull’aspetto tecnico, ma sulla ricerca della nostra verità e di conseguenza sui mezzi per esprimerla. Se l’attore crede nella verità di ciò che dice, immediatamente trova un mezzo per esprimerla.
Quindi il Living Theatre non ha sviluppato un particolare allenamento della voce? M.
No! Thomas Walker [da qui in poi W.] L’unico allenamento che facciamo è la prova degli spettacoli.
Negli anni Sessanta eravate a conoscenza di particolari metodi di allenamento vocale, per esempio quello di Iris Warren o di Cicely Berry?
M. Conoscevamo alcune tecniche di Jerzy Grotowski e di Peter Brook. Ma principalmente eravamo attenti all’aspetto politico di qualsiasi metodo. Lo eravamo anche più di Grotowski. Mi ricordo di avergli domandato cosa avrebbe fatto se per ragioni politiche gli avessero chiesto di smettere di far teatro. Ebbene, lui mi ha risposto che avrebbe smesso completamente.
W. Judith, quando studiavi con Erwin Piscator, cosa hai imparato delle sue tecniche sulla voce? M. C’era un’insegnate che ci guidava nello studio della voce, Gloria Montemuro. Oggi è nota, col nome di Gloria Monty, soprattutto per essere stata la produttrice esecutiva della soap-opera General Hospital. Le ore con lei erano terribili e difficilissime. Pensava che la voce fosse uno strumento separato da ciò che doveva esprimere. Non mi interessava separare il significato dalla tecnica. Non volevo farlo. Ho provato a stabilire un contatto umano con lei, ma è stato impossibile. Discutevamo in maniera molto animata. Ero molto giovane. Se leggi il mio diario dell’epoca2, mi lamento di lei per intere pagine.
In che maniera avete tradotto nel vostro stile vocale l’urlo artaudiano?
M. Abbiamo lavorato profondamente su questo aspetto. Ma devo ripetermi: se comprendi il significato dell’urlo, se veramente entri in empatia con una persona che soffre, che urla e, allo stesso tempo, percepisci il tuo urlo, farai la cosa giusta. Per noi era sempre una questione di verità. Immagino sia stato lo stesso anche per Grotowski.
Quando hai incontrato la prima volta Jerzy Grotowski?M. Non ricordo. W. Credo che sia stato su un tetto, a Roma, nel 1967. C’erano anche Ludwik Flaszen e gli attori del Living Theatre. M. Quando Grotowski ci vide, esclamò: «Ah, il giorno di gloria è arrivato!».
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