GIORNO PER GIORNO 6 marzo
- Andrea Colombu
- 6 mar 2021
- Tempo di lettura: 9 min
Storie della Beat Generation, della Controcultura e altro
6 marzo 1967
L’arte come azione collettiva: Michelangelo Pistoletto inaugura le sue azioni artistiche fuori dalle gallerie

Al Piper Pluriclub di Torino va in scena dal 6 al 19 marzo, La fine di Pistoletto, prima delle incursioni fuori dalle gallerie programmate, organizzate e realizzate da Michelangelo Pistoletto trentatreenne artista biellese. Tra happening e installazione, arte che recupera oggetti, rivitalizza i luoghi riscrivendoli, che include, agendo come molla propulsiva di idee collettive. Un impegnativo percorso che nell’arco di nove mesi culmina il 4 dicembre, con la mostra collettiva Con-temp-l’azione, con uno svolgimento lungo le strade della città in una triangolazione tra le gallerie (Sperone, Stein, Il Punto) con la scultura “a passeggio” o “da passeggio”: Sfera, un’enorme palla di carta di giornali, che si sposta rotolando, passando dalle braccia del gruppo di artisti ad altre di passanti e curiosi. È uno degli Oggetti in meno, serie nata per stimolare riflessione e partecipazione. Il passo ulteriore è svuotare lo studio e farne uno spazio aperto: "Aprire lo studio era un fatto tecnico. Del resto io ho avuto un rapporto quasi costante con i giovani artisti di Torino. Per me era un modo di procedere. Dato che ho "aperto" il quadro alla presenza e partecipazione di tutti, perché non "aprire" invece uno spazio fisico?".
"Molte persone che avevano letto il manifesto sono venute nello studio e questo spazio è diventato veramente uno spazio meraviglioso. Rapporti quotidiani con gente che aveva delle cose da mostrare, da fare. Hanno cominciato a proiettare i loro film, a recitare poesie, e veniva il pubblico ad ascoltare, quindi c'erano questi incontri continui.

Avviata da tempo in mille forme la riflessione sul ruolo dell’artista, o meglio della persona che fa arte, dentro una società che riduce a merce ogni aspetto della vita, un nuovo movimento, partito come aggregazione di una dozzina di artisti in diverse città, si consolida come progetto (“Noi siamo lo Zoo”) e nuova avanguardia artistica: l’Arte Povera.
Gli artisti americani avevano creato la Pop Art come forma di estremizzazione della presenza della merce, della sua invadenza quotidiana, della sua colonizzazione dell’immaginario e dei comportamenti. Una sovraesposizione di marchi e colori, un’ipersaturazione delle sensazioni. Una società che dalla guerra era uscita arricchita e capace di dimenticare che solo grazie alla guerra era uscita dalla pesante eredità della Grande Depressione degli anni Trenta, si trovava a ragionare tra trionfi consumistici ed esclusione sociale.
L’Italia che sta attraversando il Boom economico grazie ai prestiti ricattatori del Piano Marshall, ha ancora netto il ricordo della recente miseria, della guerra e del ventennio fascista. Il Sud è una sacca di miseria, le sue città e le campagne si svuotano per riempire di forza lavoro le fabbriche e le città del Nord. L’Italia è futuro e stracci, desiderio di non guardarsi allo specchio, illusione e fascinazione dei luccichii metropolitani.

Allora l’arte di Michelangelo ributta in scena, dentro e fuori le gallerie, stracci e specchi. Le persone rappresentate appaiono prive di personalità. Provocatoriamente sembrano manichini anche i due, lui e lei con aria impiegatizia che manifestano con bandiere rosse contro la guerra in Vietnam. Sono bidimensionali le sagome delle persone raffigurate dentro/di fronte alle lastre specchianti. Sono persone a una dimensione come recita il titolo del libro di Herbert Marcuse che ha preso a circolare quasi come un best seller in tutto il mondo?
L’opera I visitatori (1968) alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, mostra un uomo e una donna di spalle, due figure ottenute con velina dipinta a olio e matita su due pannelli di acciaio inox lucidato a specchio. I due sembrano intenti a guardare un quadro che non c’è, mentre si preparano ad osservare le figure dei visitatori in transito che si riflettono sulle lastre appoggiate e terra con effetto moltiplicatore e di spaesamento visivo “La parete esiste come principio e come fine di questa mia storia. Sulle pareti si appendono sempre i quadri, ma è sulle stesse pareti che si mettono anche gli specchi. […] il riflesso dello specchio incomincerà a rimandare le stesse incognite, le stesse domande, gli stessi problemi che ci pone la realtà; incognite e questioni che l’uomo è spinto a riproporre sui quadri”, afferma Pistoletto parlando delle sue opere-specchio.
"I quadri specchianti non potevano vivere senza pubblico.” dice M. Pistoletto in un’intervista con G. Boursier, per la rivista Sipario “Si creavano e ricreavano a seconda del movimento e degli interventi che riproducevano. Il passo dai quadri specchianti al teatro - tutto è teatro - mi sembra semplicemente naturale. (…) Non si tratta tanto di coinvolgere il pubblico, di farlo partecipare, ma di agire sulla sua libertà e sulla sua fantasia, di far scattare analoghi meccanismi di liberazione nella gente. Così mi interessa la gente che ci ha seguiti in corteo da Porta Palazzo a Porta Nuova a Torino, quando abbiamo fatto il Teatro baldacchino, una specie di processione con folli costumi; così come la gente che si fermava a vedere nel vicolo dell’Atleta in Trastevere una specie di sceneggiata su come oggi si “ammaestra” l’uomo, con i tabelloni e il narratore, tipo cantastorie, ma tutto più libero, non didattico, fantasioso. E chi ha risposto soprattutto sono i bambini, o il pubblico più semplice, quello che è meno condizionato, che sa ancora rimanere a bocca aperta".

In Venere degli stracci, del 1967, la riproduzione della Venere con mela dello scultore neoclassico Bertel Thorvaldsen si mostra indifferente al pubblico, di spalle mentre si avvia verso una nicchia fatta di stracci incorniciata da una parete bianca. Stracci riutilizzati nelle precedenti esposizioni-happening per lucidare gli specchi e le lastre che lo stesso pubblico poteva spostare e maneggiare, lasciando impronte sia fisiche che mentali. In Orchestra di stracci, pezzi di stoffe assortite per colore e materiali, formano una corona, all’interno della quale suona un’intera orchestra di bollitori il cui vapore si condensa su una lastra di vetro, impregna gli stracci, confonde il pubblico in un insieme di sensazioni vive: odori, suoni, colori, movimento. Tutti elementi che ricorreranno anche nelle azioni di Pistoletto con Lo Zoo: oggetti sonori, stracci, richiami per uccelli.

L’apertura dello studio, il lavoro comune con altri artisti, il moltiplicarsi delle azioni collettive, la riuscita degli happening, fanno da traino a una contagiosa effervescenza artistica che ha dato luogo alla formazione di un gruppo, costituito da persone provenienti da diverse discipline artistiche. Lo chiamano Lo Zoo dove il mescolarsi di interessi e indirizzi creativi diversi, tra musica, arti visive, teatro, video e fotografia, origina nuovi spettacoli e performance. Così racconta Michelangelo Pistoletto: "Lo Zoo è nato da una battuta di Carlo Colnaghi: "Io mi trovo nello stesso posto del leone in gabbia". La cosiddetta civiltà ha relegato ogni animale nella sua gabbia. I meno pericolosi, più docili e sottomessi li ha messi in grandi recinti comuni: le fabbriche, le case popolari, gli stadi sportivi (…) Gli artisti sono isolati nelle Biennali di Venezia, nei teatri, nei musei e nelle manifestazioni organizzate. (…) Ora noi sappiamo di essere Lo Zoo. Noi non lavoriamo più per gli spettatori, siamo noi stessi attori e spettatori, fabbricanti e consumatori. Tra noi che si riesce a lavorare insieme c'è un rapporto diretto, chiaro, percettivo e istantaneo (…) Quando voi vedete, sentite e fiutate uno spettacolo fatto insieme, come quello dello Zoo e Musica Elettronica Viva, quello che voi credete di capire sarà solo la corteccia, l'involucro, ma non saprete mai cosa è successo finché non sarete attori e spettatori al di qua delle sbarre".
Gli spazi che lo Zoo sceglie sono all’aperto o a chiuso, strade, piazze ma anche locali, birrerie, discoteche, teatri. Si unisce a Musica Elettronica Viva, gruppo composto da alcuni musicisti statunitensi stabilitisi a Roma, diventa corteo festoso per le strade di Vernazza nella Riviera Ligure in occasione del primo spettacolo, L’Uomo ammaestrato, dove l’artista ha preso casa, i cui abitanti diventeranno attivi partecipanti alle performance di Pistoletto anche nei decenni successivi.

“Quando un uomo si accorge di avere due vite, una astratta in cui sta la sua mente e una concreta, in cui sta pure la sua mente, o finisce come il pazzo che, per paura, nasconde una delle sue due vite recitando l'altra, o come l'artista che non ha paura e le rischia tutte e due. L'uomo ha sempre tentato lo sdoppiamento di se stesso per cercare di conoscersi. Il riconoscere la propria immagine nello stagno d'acqua come nello specchio, è forse una delle prime vere allucinazioni a cui l'uomo è andato incontro. Una parte della sua mente è rimasta appiccicata a quella riproduzione di se stesso. Lo sdoppiamento si è utilizzato nel tempo in maniera sempre più sistematica e sempre più convinta. La mente ha costruito la rappresentazione sulla base del proprio riflesso. E l'arte è diventata una delle specialità di questa rappresentazione.” Michelangelo Pistoletto dal documento Le ultime parole famose 1967
6 marzo 1917
Nasce Will Eisner, genio del racconto a fumetti

“Tutto quello che so e che questa è la seconda guerra mondiale… che ci hanno arruolato… lui fa il fumettista e io sono redattore di un giornale turco a Brooklyn.” “Ragazzi come faranno a vincere la guerra con dei tipi come noi?” “Perché… chi altro le fa le guerre eh?” (dialogo tra soldati in viaggio verso il fronte nel graphic novel di Will Eisner Verso la tempesta)
Quando nel 1992 Will Eisner crea i testi, la sceneggiatura e le illustrazioni per l’autobiografico Verso la tempesta aveva alle spalle la fama di editore e di geniale illustratore, dagli anni Trenta del secolo scorso innovatore del fumetto, lo stile, i contenuti con intuizioni e scelte grafiche di cui sarebbero stati debitori buona parte dei migliori talenti successivi da Alan Moore a Frank Miller e Art Spiegelman. Il suo eroe mascherato, Spirit, aveva letteralmente spopolato per tutti gli anni Quaranta sino al 1952 quando aveva deciso di dichiarare finito un ciclo di storie ricche di humor e ironia. Nel 1972 era ritornato al fumetto indirizzandolo a un pubblico adulto e concependolo come un romanzo disegnato e nel 1978 usciva il suo famosissimo Contratto con Dio che apriva la strada a una diffusione dei graphic novel.
“Se Dio esige che gli uomini onorino i loro patti, non ha forse anche Dio il medesimo obbligo?”, afferma uno dei protagonisti dei quattro episodi dell’opera. I nuovi protagonisti del fumetto sono i sogni, le aspirazioni, le ambizioni e le delusioni delle persone comuni mostrate nella loro vita quotidiana. In Contratto con Dio presenta alcuni dei temi e delle forme di rappresentazione che svilupperà nelle sue opere successive: la dura lotta per la sopravvivenza nelle città, la comunità ebraica, i rapporti con la famiglia e i ricordi personali.

Ma è nell’autobiografico Verso la tempesta che irrompe con il ricordo della sua vita un’accusa alla società americana intrisa di pregiudizi razziali e religiosi. Nato nel Bronx da una famiglia di emigranti, padre austriaco ebreo e madre rumena. Illustratore il primo, sobriamente ancorata alla realtà la seconda, affida i suoi racconti al viaggio in treno che un giovane Willie e altri due soldati uno di origine turca e un americano. Le riflessioni sull’ambiente sociale in cui era cresciuto, la passione per il disegno ereditata dal babbo corrono in lungo flashback per ricostruire una New York prima e dopo la Grande Depressione, abitata da immigrati poveri, in dissidio perenne tra gruppi etnici. “Nella vita come nell’arte, Willie… è tutta una questione di prospettiva!”, dice il babbo di Willie.

Il racconto continua a ritroso spostandosi fino a Vienna capitale ricca di talenti e produzioni artistiche ma vicina a precipitare nell’annullamento della prima guerra mondiale. E tra la prima e la seconda guerra Eisner si interroga se approfittare della possibilità che gli offre il suo editore di schivare la mobilitazione militare o seguire un pur dubbioso e non convinto legame che sente per il paese dove è nato, e le ragioni per combattere il nazismo. La rinuncia all’imboscamento dolorosa, emotiva, o frutto di responsabile speranza, non cancella dubbi che riaffiorano nel dialogo con gli altri due ragazzi mandati in guerra e con cui divide il viaggio in treno.
Lo scrittore Michael Chabon autore di Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay, vincitore nel 2001 del Pulitzer, il più prestigioso premio letterario americano, descrive Will Eisner così: “Quando nel 1996 mi accingevo a intervistare Will ero un po’ più informato e avevo appena cominciato a scrivere il romanzo che sarebbe diventato Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay. Una parte fondamentale del lavoro di preparazione era stato procurarmi tutto quanto ero riuscito a trovare di Eisner – The Spirit, i romanzi a fumetti, i libri di teoria del fumetto, ed era diventato ovvio come Feiffer avesse ragione. Eisner aveva introdotto innovazioni radicali nella pagina a fumetti, alcune adattate dal cinema, altre dal teatro, altre ancora dalla tradizione figurativa delle belle arti, e anche solo questo costituiva un contributo importante. Ma la cosa stupefacente del suo lavoro con Spirit, tutte le sue trovate e la perizia tecnica, le inquadrature ardite e l’uso radicale dell’illuminazione – era quanto ancora apparisse nuovo e fresco, dopo cinquant’anni di costante imitazione da parte di autori grandi, meno grandi e dei loro eredi”.

“Non c'è nessuno come Will Eisner. Non c'è mai stato e, nei miei momenti più bui, dubito che ci sarà mai più”. (Alan Moore)
“Will Eisner... non cercherò neppure di contare quante volte è tornato. Per rivoltare tutto come un guanto. Per mostrarci con il suo incredibile esempio dove può arrivare il fumetto. A che cosa possiamo aspirare”. (Frank Miller)
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