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GIORNO PER GIORNO 4 giugno - Brodsky, Baryshnikov e l’ottusità del potere

4 giugno 1972

 

Brodsky, Baryshnikov e l’ottusità del potere



Il poeta russo Joseph Brodsky , futuro premio Nobel nel 1987,viene convocato a Leningrado nell’ufficio del Ministero degli interni dove gli viene notificato l’atto di espulsione dal Paese. Viene imbarcato a forza in un aereo che lo porta a Vienna.


"Il Giudizio Universale è il Giudizio Universale, ma un essere umano che ha trascorso la sua vita in Russia, deve essere, senza alcuna esitazione, collocato in Paradiso"


Lo avevano accusato di essere un “parassita sociale”, di essere afflitto da schizofrenia progressiva e “delirio paranoico riformista”. Era stato giudicato un “poetucolo in pantaloni di velluto”, era stato processato nel 1964 con accuse anonime che ripetevano quelle parole, era stato condannato a cinque anni di lavori forzati, uscendone dopo un anno grazie all’intervento di personalità della cultura russa e soprattutto per una campagna d’opinione europea, condotta da personalità come Jean Paul Sartre. Ancora prima l’avevano internato per due volte in un lager psichiatrico, avevano impedito che potesse sposarsi e infine lo avevano condannato a un esilio interno.


“Nel 1964, quando andai a San Pietroburgo, per studiare all'Accademia Vaganova, un compagno di studi mi diede una cosa severamente vietata dalle autorità", racconta il ballerino e coreografo Mikhail Baryshnikov, ricordando il momento in cui aveva avuto una copia autoprodotta di una raccolta di poesie del giovane autore,"Ho davvero adorato Brodsky. Lo ammiravo, inconsciamente cercavo di imitarlo, ero geloso del suo successo con le donne e, come un fratellino, ero sempre consapevole della sua autorità.” e poi prosegue “Brodsky fu ufficialmente bandito in Unione Sovietica, ma era molto popolare tra l'intellighenzia sovietica e intellettuali. Giovane genio, poeta straordinario con un potenziale fantastico. Durante il processo del 1964 che portò a 5 anni di lavori forzati (per "non aver adempiuto al suo dovere costituzionale di lavorare per il bene della patria" - in URSS se non avevi un lavoro finivi in prigio’e) il giudice ha chiesto ‘Chi ti ha riconosciuto poeta? Chi ti ha arruolato nei ranghi dei poeti?’ – ‘Nessuno", rispose Brodsky, ‘Chi mi ha iscritto nei ranghi della razza umana?’ Brodsky non aveva ancora 24 anni.”



Ottusi e paranoici per formazione politica, i dirigenti sovietici al momento dell’espulsione di Joseph Brodsky avevano ricevuto un rapporto redatto da Andrei Snezhnevsky, incarnazione della psichiatria repressiva e dell’equazione dissidenza=malattia mentale, secondo cui il poeta futuro premio Nobel per la letteratura nel 1987, "non era affatto una persona di valore e poteva essere lasciato andare".


Racconta ancora Mikhail Baryshnikov “Nel 1971 Brodsky fu invitato due volte ad emigrare in Israele. Quando fu chiamato al Ministero degli Interni dell'URSS nel 1972 e gli chiesero perché non avesse accettato, dichiarò che desiderava rimanere nel paese.” A Vienna non rimase a lungo. Grazie all’aiuto dei poeti V.H. Auden e Carl Ray Proffer riuscì ad arrivare negli Stati Uniti e a insegnare all’università.


“Sapevo che stavo lasciando il mio paese per sempre, ma per dove, non avevo idea di sorta. Una cosa che era abbastanza chiara era che non volevo andare in Israele... Non ho mai nemmeno creduto che mi avrebbero permesso di andare. Non avrei mai creduto che mi avrebbero messo su un aereo, e quando lo hanno fatto non sapevo se l'aereo sarebbe andato a est o a ovest... non volevo essere perseguitato da ciò che era rimasto del servizio di sicurezza sovietico in Inghilterra . Così sono venuto negli Stati Uniti.”



Era nato a Leningrado, nei durissimi anni in cui l’esercito nazista, dopo l’invasione della Russia, la cingeva in un lungo assedio. “Sono nato e cresciuto nelle paludi baltiche /da demolitori grigio zinco che marciavano sempre /a due a due.” Sin da ragazzino, più per istinto che per una qualunque convinzione, aveva preso a odiare l’omologazione, che si ripeteva con l’esposizione delle immagini “dei padri della patria e della cultura”, Lenin,Stalin, Gorky e quell’insopportabile riga azzurra ad altezza d’occhi, che interrompeva tutte, proprio tutte le pareti degli edifici pubblici e abitativi, per separare la tinteggiatura grigio topo dalla parte superiore bianca. Una riga azzurra, senza significato, ma ripetuta ovunque, in qualunque tempo, in ogni luogo. A quindici anni aveva lasciato la scuola con un gesto plateale ed era andato a lavorare per un po’ di tempo in fabbrica e aveva iniziato a scrivere, poesia e a farla circolare in copie stampate in proprio. Viveva in un relativo isolamento, ma neanche la solitudine aveva una dimensione individuale e tutto era soffocante. “Thomas Hardy una volta ha detto quale fosse la ricetta per una buona poesia, parafrasando male diceva, ‘Bisogna dare un'occhiata completa al peggio’"


In altra occasione avrebbe spiegato “D'altra parte, le cose buone nascono da una sorta di intervento divino. E non ha senso preoccuparsi dell'intervento divino, perché o accadrà o non accadrà. Quelle cose sono fuori dal tuo controllo. Ciò che è sotto il tuo controllo è la possibilità del male. Ciò che intendo in realtà è l'intervento del linguaggio su di te o in te. Quella famosa frase di Auden su Yeats: "la pazza Irlanda ti ha ferito nella poesia..." Ciò che ti "ferisce" nella poesia o nella letteratura è il linguaggio, il tuo senso del linguaggio. Non la tua filosofia privata o la tua politica, e nemmeno l'impulso creativo, o la giovinezza.” Tutto troppo lontano, anzi diametralmente opposto alla dottrina culturale sovietica che pretendeva “utilità” dall’arte

In America, come docente aveva continuato a interrogarsi su come rendere la poesia disponibile a tutti. Sempre accusato di essere elitario e indifferente alla leggibilità dei suoi versi, contrario all’idea di poesia come intrattenimento o spettacolo, si sentiva responsabile per essere stipendiato e riuscire solo a tenere corsi sulla poesia, il suo suono, la sua essenza, senza riuscire nell’intento di renderla popolare, a disposizione ovunque. La sua idea è che manchino le occasioni per cui le persone possano incontrare la poesia nella quotidianità. Racconta un aneddoto che può spiegare la sua idea. Innamorato dei versi di Robert Frost, aveva voluto conoscere il bravissimo traduttore russo e vedere le copie originali. “ Mi mostrò un libro in edizione cartonata, che si aprì da solo a una data pagina, in cui lessi: ‘La felicità compensa in altezza quello che manca in durata’. Il foglio era attraversato da un’enorme impronta di stivale militare n° 46. Sulla copertina si leggeva il timbro STALAG 3B, un campo di concentramento per prigionieri alleati della seconda guerra mondiale, in qualche angolo della Francia. Ecco, questo è il caso di un libro di poesia che ha trovato il proprio lettore. Per trovarlo, non ha dovuto fare altro che essere a portata di mano.”



2015, fine novembre, a Riga, Lettonia per la prima dello spettacolo di Mikhail Baryshnikov, c’è il pubblico delle grandi occasioni, tantissimi sono venuti da Mosca e San Pietroburgo per vedere lo spettacolo del ballerino che con il suo regista Alvis Hermanis, continuano ad essere ‘persone non gradite‘ nel suolo russo anche dopo la fine del regime sovietico. Lo spettacolo, più teatro che danza porta in scena una riflessione sulla vecchiaia, il tempo, attraverso il rapporto con le parole di Brodsky, che pure non amava il teatro recitato, amava i testi, leggere il teatro. Amava soprattutto Beckett.


Sotto una fioca luce di un ipotetico, squallido appartamento, Baryshnikov seduto su una panca, tira fuori alcuni libri di poesia, li sfoglia con lentezza, sceglie alcune cose da leggere. Sembra che con lui si materializzi un’altra persona, il poeta premio Nobel, morto nel 1996. Legge e sorseggia un bicchiere di Jameson, whiskey preferito da Brodsky.


Si erano conosciuti nel 1974, Baryshnikov era appena fuggito dalla Russia e Brodsky era stato espulso da due anni. il compositore Mstislav Rostropovich aveva organizzato una festa in onore dello scrittore sovietico Alexander Galich, di passaggio a New York. Dal giorno della festa , in cui avevano passato la sera a parlare, i due avevano preso a frequentarsi. Brodsky aveva dedicato al giovane amico anche varie poesie. Ora sul palco le legge: “Sei tornato a casa, e allora? / Guardati intorno, di chi hai ancora bisogno? / Chi sono i tuoi amici adesso?" e poi con il corpo che interpreta le parole: "Quanto è bello, mentre ti affretti a casa, realizzare che le tue parole non sono veritiere, e quanto sia difficile per l'anima cambiare."


“Brodskij non è mai stato un uomo sentimentale; una volta giunto negli Stati Uniti “ racconta Baryshnikov fuori dallo spettacolo, “conservò il ricordo del Paese dal quale era stato estradato soprattutto per l’affetto dei genitori rimasti là e ancora vivi, per gli amici abbandonati, ma senza mai lamentarsi delle tribolazioni subite sotto il regime sovietico; provava nostalgia per la lingua, gli oggetti, la cultura.”


Come evocato in una seduta spiritica si sente la voce reale di Brodsky, una vecchia radio ripete una sua lettura: “C'è qualcuno che vaga tra le rovine, mescolando le foglie. O forse il vento è tornato come un figliol prodigo, e tutte le sue lettere sono state consegnate in una volta.”


W. H. Auden aveva descritto Brodsky come un poeta intenso, lirico, legato alla tradizione, per cui il linguaggio costituiva il fulmine e la Musa, affascinato da "incontri con la natura, ... riflessioni sulla condizione umana, la morte e il significato dell'esistenza". Baryshnikov ne prolunga la riflessione, si spoglia, ha un corpo ancora bello e atletico, ma invecchiato, poi legge “24 maggio 1980” che Brodsky ha scritto per il suo quarantesimo compleanno; "La vita è stata lunga e dolorosa, ma fino alla morte non sarò altro che grato per questo."


L’ammonimento più volte espresso dal poeta torna in mente al sessantasettenne ballerino “C'è una formidabile inerzia nel fare sempre affidamento su qualcuno e non assumersi responsabilità individuali”. E inizia a danzare per fermarsi e leggere un’altra poesia, l’ultima e una delle prime composte da Brodsky, quando aveva diciassette anni: “Addio, e non giudicarmi troppo severamente. Brucia le mie lettere, come un ponte… Sii forte e combatti. Sono felice per coloro che potrebbero viaggiare lungo la strada con te.”


A questo punto, qualcuno che abbia anche casualmente letto i versi di Joseph Brodsky, potrebbe ripetere tra sé e sé una sua frase famosa pronunciata in un discorso del 1991: “Molti hanno sostenuto che chi non studia la storia finisce sempre per commettere gli stessi errori. La poesia non vanta simili meriti, eppure ha qualcosa in comune con la storia: usa la memoria e è utile al futuro, per non parlare del presente. Non ha alcun effetto sulla povertà, ma può intervenire sull’ignoranza. Inoltre è l’unica garanzia contro la volgarità dell’animo umano.”

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