GIORNO PER GIORNO 30 maggio - Pinguini resistenti a Gezi Park
- Andrea Colombu
- 30 mag 2021
- Tempo di lettura: 3 min
30 maggio 2013
A Gezi Park, Istanbul pinguini resistenti

Dal 27 maggio un folto gruppo di studenti, dopo una manifestazione, ha deciso di accamparsi vicino a piazza Taksim, tra i 606 alberi del Gezi Park, che devono essere abbattuti per far posto all’ennesimo centro commerciale. Si son portati tende e viveri, libri e coperte. L’obiettivo immediato è la salvezza del parco, con uno sguardo più avanti, per un’opposizione alla politica di trasformazione urbanistica che da un decennio sta espellendo dal centro i negozi di vicinanza, gli artigiani e gli abitanti meno agiati.
Il 30 maggio arriva in forze la polizia per sgomberare gli occupanti e permettere l’abbattimento degli alberi. La resistenza durerà per giorni, innescando un movimento di lunga durata esteso a tutto il paese e con motivazioni sempre più radicali contro la politica repressiva del presidente Erdogan.
La televisione nazionale ignora e nasconde le notizie e manda in onda una trasmissione di cucina e un documentario sui pinguini. Sui muri di Istanbul compare l’immagine a stencil di un pinguino resistente.
Alle 5 del mattino del 30 maggio un imponente schieramento di polizia con i cannoni ad acqua fa irruzione nell’accampamento, per spianare la strada ai bulldozer che devono abbattere le piante, brucia le tende, spara lacrimogeni. Ma il giorno seguente i manifestanti tornano, pacifici ma più numerosi. Il trattamento è peggiore del giorno precedente, i cannoni mirano direttamente per fare male con la pressione massima. La sera la Corte Amministrativa sospende il progetto di abbattimento degli alberi.

Ma i manifestanti non si fidano, tornano a presidiare il parco, si scontrano ancora con la polizia e riformano l’accampamento.
Dall’inizio del nuovo secolo, la politica del partito di Erdogan, che controlla municipio e distretti ha adottato una violenta politica urbanistica, a favore delle grandi imprese commerciali e finanziarie, centri commerciali ovunque al posto di negozi di vicinanza e artigiani, hotel di lusso ed espulsione di curdi e ceti popolari da quartieri che vengono sventrati e riconvertiti, spostando la popolazione che vi risiedeva dalla metà del Novecento verso l’infinita periferia di una città che non ha più confini. Parchi e zone verdi che scompaiono, progetto e avvio di un nuovo ponte per veicolare sempre nuovo traffico in centro. Progetti che passano grazie alla promessa di lavoro, di una “grandezza” da esibire, di illusioni e ricatti identitari e religiosi.

Azioni di protesta e di resistenza c’erano state in certi quartieri, alla chiusura di cinema e di negozi storici, ma non avevano trovato strade per affermarsi, alleanze e coordinamento tra le iniziative. Per questo gli amministratori avevano pensato di poter imporre tranquillamente la trasformazione di piazza Taksim e lo sventramento del parco senza neanche prevedere un piano di consultazioni e di informazione per i residenti della zona, ormai già circondati da 17 centri commerciali sugli ottanta presenti in città.
Allo sgombero del 30 mattino i manifestanti hanno risposto riprendendone il controllo il giorno seguente dopo scontri duri con la polizia. La mobilitazione diventa cittadina, l’informazione gira sui social, si tengono forum di discussione permanenti in varie piazze. La repressione moltiplica la resistenza e la mobilitazione arriva nelle altre città. Migliaia di ragazze e ragazzi animano la mobilitazione che trova l’appoggio di quanti si oppongono alle politiche economiche e repressive di Erdogan. Nelle assemblee continue tutti possono prendere la parola, ma è bandito il linguaggio e le posizioni sessiste e omofobe.

Per tre mesi il movimento continuerà a crescere come un grosso coordinamento di posizioni e gruppi ambientalisti, anarchici, femministe, LGBTQ, sinistra e persino nazionalisti laici kemalisti. Cresce anche la repressione con 11 ragazzi uccisi, migliaia di arresti non solo tra i manifestanti ma anche di avvocati, giornalisti e medici volontari.
Il premier Erdogan con la sua abituale diplomazia aveva detto più volte che le donne dovevano stare a casa nel ruolo di mogli e fare almeno tre figli. Nei giorni della protesta sui muri della città compare una scritta: “Erdogan, sei sicuro che vuoi che ogni donna abbia tre figli come noi?”, perché come dice un altro muro: "Ovunque è Taksim, Ovunque è Resistenza!".
Comentários