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GIORNO PER GIORNO 29 maggio - Alberi e comunità

29 maggio 1982

piantare alberi, salvare alberi, creare comunità


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A San Francisco prosegue e si estende la campagna partita dal basso per riforestare la città. Quartiere per quartiere, l’idea partita da cinque persone, tutti maschi, diventa la pratica, la tattica e la strategia di centinaia di persone con una componente direzionale, progettuale e fattiva a prevalenza femminile.


Le città americane del dopoguerra e in seguito quelle di tutto il mondo, venivano riprogettate non come luoghi di scambio e di incontro, ma come luoghi di soddisfazione individuale e di consumo. Tutto doveva avere una funzione, servire a qualcosa e quando per qualsiasi ragione i fondi comunali decrescevano o non crescevano, i primi tagli li si dava all’inutile, alla manutenzione di piante e giardini, alla piantumazione di nuovi alberi. Miopia che impedisce di vedere le città viventi come organismi che esistono e sono in salute solo se tutte le sue parti lo sono, se tutte sono in relazione tra loro nel presente e nel futuro.


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La storia della città di San Francisco non è molto diversa da altre. A fine anni Settanta del Novecento c’era stato un taglio drastico al capitolo dedicato al verde pubblico, di quartiere e dei parchi. Si interrompeva un ciclo che aveva l’ambizione di colmare il ritardo che la poneva tra le ultime con percentuale di verde nell’area urbana. Un ciclo che aveva visto movimenti sociali premere per la costituzione di nuovi parchi e zone alberate. Movimenti diversi che a partire dai primi anni Sessanta si erano presentati in modo diverso. Gruppi di pressione istituzionale e gruppi di azione diretta, petizioni e educazione ambientale e lotte ribelli per creare aree liberate dal traffico, aree pedonali e verdi. Spesso tattiche così distanti avevano in comune una pratica che era anche una necessità di base: creare comunità, creare gruppi di affinità pronti a collaborare con altri e supportare altri. Comunità in movimento come fucina di idee e di sperimentazioni, di intelligenza e conoscenze condivise.


Sabato 29 maggio del 1982 è il giorno di un nuovo appuntamento per i volontari del Friends of the Urban Forest (FUF), per piantare decine di nuovi alberi ai bordi della strada. Da un anno, dalla prima azione di piantumazione urbana condivisa il 7 marzo 1981, la tattica e la stessa. Il gruppo, che si avvale di una direzione (femminile) composta da esperte e studiose, ha contattato da tempo gli abitanti e gli esercenti di una data zona, dove gli alberi mancano, o dove non sono stati sostituiti alberi caduti o abbattuti e con loro, dopo riunioni tecniche per ragionare sul tipo di piante e dopo un lungo lavoro di convincimento istituzionale si parte in un clima festoso con l’intervento di persone qualificate. Si zappa, si aggiungono i supporti che permetteranno alla pianta di crescere sino a potersi reggere da sole e si fa festa con dolci e bevande.


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È un’iniziativa che col tempo, sabato dopo sabato in mille e cento zone urbane acquista autorevolezza e solidità, riuscendo a far approvare piani di formazione e avviamento al lavoro per giovani dedicati alle foreste urbane, coprendo con le proprie attività più del 43% delle chiome verdi presenti in città e con l’obiettivo di piantarne ancora alcune centinaia di migliaia. Si sfruttano i bandi e si preme per nuovi e più ampi, mentre le comunità crescono. Le motivazioni non sono dissimili da quelle contradditorie che avevano spinto le amministrazioni del primo Novecento a creare Il Golden Gate Park e negli anni Settanta le prime strade alberate. Per le classi medio-alte e gli immobiliaristi l’idea che il verde possa far crescere di valore gli immobili. Per i più ottimisti il vago profumo di una vita più sopportabile e meno caotica. Anche in questo progetto c’è qualcosa di manageriale e si preme per un’accoglienza trasversale, sapendo che comunque ci sarà qualcuno che dal bello e dal verde ci guadagnerà, anche economicamente più di altri.


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Inevitabile. Forse. Come aveva osservato lo storico Philip Dreyfus, a proposito degli esempi verdi del passato «L'applicazione dell'impulso manageriale di una società industriale alla creazione di ambienti naturali è certamente irta di ironia, ma aveva almeno l'eredità positiva di lasciare spazi aperti per il godimento delle generazioni future». Certo, la città di San Francisco può studiare i modelli con cui il paesaggio naturale dell’area della baia e gli ecosistemi millenari fossero stati stravolti dall’arrivo dei conquistatori europei che avevano rimodellato tutto secondo i parametri conosciuti nelle proprie città, sacrificando le foreste e sostituendo con alberi importati, sequoie con abeti di Douglas, frutteti al posto di boschi, fattorie industriali al posto delle praterie, strade al posto delle dune di sabbia. Forse parlare di foreste urbane può apparire un’esagerazione, ma sta di fatto che le legislazioni in materia sia della città che della California hanno dovuto tenere conto della mobilitazione dal basso e hanno dovuto ricorrere alla consulenza di organizzazioni come Friends of the Urban Forest. E questo non è poco.


Forse la cosa bella è che le stesse persone che negli anni hanno curato il progetto e il suo sviluppo mettono in discussione alcune cose di principio e ragionano su errori di percorso e su perplessità diffuse anche al proprio interno. Nei loro interventi si possono leggere questi dubbi che ruotano intorno alla naturalezza di una natura scelta e selezionata dall’uomo. Alcune persone sostengono che gli alberi importati piantati sulle strade stiano effettivamente invadendo e alla fine distruggendo il sistema ecologico nativo o come sostiene ancora in Our Better Nature lo storico Dreyfus, citato più volte nei loro studi: «la popolarità della natura inventata, che gli abitanti delle città contemporanee condividono con la San Francisco del diciannovesimo secolo, non è un crimine, ma riflette comunque qualcosa di molto inquietante su ciò che la natura diventa in un mondo in via di urbanizzazione».


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A questo squilibrio i volontari amici delle foreste urbane cercano di rimediare, anche discutendo dei propri errori, cercando di reimpiantare gli alberi più compatibili di specie autoctone.


Comunque con loro condividiamo l’affermazione che la distruzione della vegetazione naturale, o l'alterazione artificiale delle piante in determinate aree, «produce cambiamenti drastici e spesso irreversibili nel paesaggio che influenzano direttamente gli esseri umani».


«Del terribile dubbio delle apparenze, | della finale incertezza, che possiamo venir delusi, | che forse fiducia e speranza non siano, dopo tutto, che congetture, | che forse l'identità oltre la tomba sia appena una favola bella, | che forse le cose che percepisco, animali, alberi, uomini, colline, luminose acque fluenti, | i cieli di giorno e di notte, colori, densità, forme, siano (come indubbiamente sono) appena apparenze, e l'autentico vero debba ancora venir conosciuto» (Walt Whitman)


Le foto son tratte dal sito FUF, la locandine Tree Planting Party: FUF C.Carlsson




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