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GIORNO PER GIORNO 29 giugno - Il sapore dell’afro-jazz-blues

29-30 giugno 1968

 

Il sapore dell’afro-jazz-blues



L’Atlanta jazz festival organizzato da George Wein, si presenta nella sua terza edizione come un tipico frutto del tempo, un saporito e profumato frutto di una pianta ibridata dai generi, corroborata da un clima favorevole a generare orgogliosamente prodotti di una comunità militante. Un inebriante mix di suoni latini, blues, e funk confluiscono nel jazz costruendo lo sfondo delle lotte degli afroamericani e indicando nuove vie alla cultura americana.


“ti risparmierò i dettagli del comune lignaggio del blues, jazz e rock... .basti dire che il rock è un'espressione corporea della nostra realtà e il jazz è una spiegazione spirituale di quella realtà. Il meglio di ciascun genere predica lo stesso sermone...è tutta carne su un solo osso...” spiega Eric Bonner del quindicinale underground Great Speckled Bird, edito proprio ad Atlanta nello Stato della Georgia. Il suo ragionamento parte dalla constatazione di un nuovo incontro tra il pubblico del jazz e quello del rock e della controcultura. Sono mondi che si avvicinano, si confrontano, si spostano insieme e si mischiano, anche grazie alla letteratura e alla poesia. Leroi Jones-Amiri Baraka con il suo Il popolo del blues e le poesie di Bob Kaufman, una sorta di Rimbaud nero per i suoi affascinati ammiratori bianchi, hanno riportato la cultura afroamericana nelle strade e nelle piazze, come il jazz era stato per tutti gli anni Cinquanta e buona parte dei Sessanta l’ingrediente ritmico naturale dei reading dei poeti della Beat Generation, della San Francisco Renaissance, della New York School.


Sicuramente alcuni aspetti dell’evento jazz ad Atlanta fanno storcere il naso a molti. La location innanzitutto, uno stadio studiato per le partite di baseball non ha la possibilità di offrire al meglio le sonorità jazz. Un po’ contestata preventivamente è anche la presenza di Dionne Warwick, la potente vocalist con vari hit in classifica, considerata sin troppo pop ma …(“se Sinatra può suonare al festival jazz di Newport, allora Dionne può fare Atlanta senza troppe urla da parte dei puristi”).

L’impetuoso Movimento per i Diritti Civili della prima metà anni ’60 e poi il Black Power e le Pantere Nere avevano sempre trovato una sponda, un supporto e un rilancio nella black music in tutte le sue espressioni, ma da alcuni anni nonostante il successo degli artisti dell’Atlantic Records e della Motown, dell’esplosione del rhythm and blues, i grandi raduni giovanili sembrano animati dalle band psichedeliche, garage, folk rock e del blues suonato dai bianchi. Ma come sempre qualcosa è in costante, sotterraneo movimento…


“…’Sogno della terra da cui proviene la mia anima, sento il suono morbido di un tamburo, sfumature di delizia, tonalità di cacao, ricche come la notte, Afro-Blue’... Mongo Santamaria apre l'evento all'Atlanta Stadium ambientando il fiero nero tempo che diventa il tema di questo concerto di due notti..” I toni del set di Santamaria spingono verso il funk, alternando ritmi latini e improvvisazioni jazz.


“L’esibizione di Wes Montgomery era stata prevista, prima della sua improvvisa morte avvenuta per un attacco di cuore domenica 16 giugno. Wes, che ha imparato a suonare la chitarra da autodidatta, aveva sviluppato il suo stile da pennellata che ha reso il suo lavoro unico tra i musicisti jazz. Aveva fattouna lunghissima gavetta per circa vent'anni, lavorando come back-up man su numerosi LP e suonando nel circuito della West Coast prima di sfondare con "Tequila" e "Day In The Life".


A omaggiarlo il primo giorno c’è il quartetto di Thelonius Monk, con Charlie Rousse al sax tenore, Ben Riley, batteria e Larry Gales, contrabbasso che sembrano parlare a ciascuna persona presente, trascinandola e avvolgendola con “Monk che si piega, grugnisce, attacca la tastiera, strappando da essa tutte le verità non comuni che simboleggiano la New Wave nel Jazz che è un riflesso della New Wave negli stili di vita”.


Tra i due set c’è l’esibizione di Cannonball Adderley col fratello Nat e Joe Zavinull al piano con intrusioni di rock elettronico che supportano la furia blues dei due fratelli.


Herbie Mann, che nel jazz ha introdotto il suono del flauto ha una formazione nuova più orientata verso il rock, sino ad abbracciare la psichedelia di There Is a Mountain di Donovan. Giusto per ribadire un bisogno di mescolanze.


Il pubblico avrebbe alcuni ragioni per lamentarsi, l’acustica, pecche organizzative, sedili in cattivo stato, ma pare che tutto, proprio tutto venga dimenticato dopo l’esibizione di Nina Simone il secondo giorno, domenica 30. La Sorella Nina, la Grande Sacerdotessa, la Voce che illumina ecc…Ogni nome che le viene dato non basta a raccontarla, non bastano le parole per descrivere l’effetto che provoca nei presenti. La sua forza e vitalità danno connotati intensi alla seconda serata del festival . Lei dice: "Scommetto che molti di voi non sono andati in chiesa da nessuna parte oggi, beh, se non andrai in chiesa, la chiesa verrà da te", dopo aver predicato il sermone “Puoi andare all'inferno". E’ un concerto così intenso che porta le ventimila persone presenti ad abbracciarla ritmando il suo nome, in piedi pretendo ancora la sua voce, che continui a suonare, che non smetta mai.


Come per contagio e per influsso magico, tutto dopo di lei continua ad essere perfetto, energico, entusiasmante, Jimmy Smith e il trio di Ramsey Lewis.


“Non c'era musica migliore da nessuna parte su questo pianeta di quella fatta da una cinquantina di musicisti dei pesi massimi e da circa trentacinquemila fan allo stadio di Atlanta... la musica jazz è vita, tempo e preghiera”.

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