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GIORNO PER GIORNO 29 aprile - Hair debutta a Broadway

29 aprile 1968

Hair debutta a Broadway

La versione definitiva del musical Hair viene messa in scena al Biltmore Theatre di Broadway, portando il messaggio hippy di amore e droga liberi, pacifismo e spiritualità nel circuito mainstream e facendo avanzare l’abbattimento della censura negli anni a seguire.



Scritto dagli attori Gerome Ragni e James Rado e con le musiche di Galt MacDermot, Hair porta in scena un gruppo di hippies capelloni newyorkesi, politicamente impegnati nel confronto tra le loro aspirazioni – amore e sessualità liberi, droga, pacifismo – e la società conservatrice a cui si oppongono. Il fulcro della storia vede Claude, uno dei protagonisti, in crisi su cosa fare dopo aver ricevuto la chiamata per andare a combattere in Vietnam. Claude elabora i suoi dubbi in compagnia di Berger, un irriverente spirito libero, della studentessa universitaria Sheila, di Woof, anima gentile e sessualmente aperta, del militante afroamericano Hud e di Jeanie, ragazza eccentrica rimasta incinta dopo un incontro sotto gli effetti della droga.



Ragni e Rado si erano conosciuti nel 1964 e avevano immediatamente collaborato alla stesura di Hair con l’intenzione di mettere in scena un mix tra le persone che incrociavano nella loro vita

reale e i frutti della loro immaginazione e creatività, nutrita dal clima della fiorente controcultura: “conoscevamo questo gruppo di ragazzi nell’East Village che prendevano droghe e cercavano di schivare il servizio militare, e c’erano anche un sacco di articoli sulla stampa su ragazzi che venivano cacciati da scuola perché si facevano crescere i capelli” ricorda Rado. Alcuni membri del cast, come l’attrice Shelley Plimpton, venivano direttamente dalla strada. I personaggi di Claude e Berger e la loro dinamica sono ricalcati sulle personalità dei due autori: il pensoso e romantico Rado e l’estroverso Ragni. Al contrario, il compositore Galt MacDermot non aveva esperienza della cultura hippy e viveva in maniera tradizionale con la moglie e i quattro figli. Forse per questo la parte meno rivoluzionaria di Hair sono proprio le musiche, che fecero lasciare il teatro a Leonard Bernstein durante lo spettacolo e dire a John Fogerty: “Hair è una versione sbiadita di quel che sta veramente succedendo (nella musica)”. Altri sono i meriti del musical nella storia controculturale.


Tra la fine del 1967 e i primi mesi del 1968 Hair era già stato messo in scena in alcuni teatri fuori dal circuito ufficiale ma venne progressivamente rimaneggiato, tramite le prove e le diverse serate, e per il suo debutto a Broadway vennero aggiunte 13 canzoni mentre la trama venne modificata, alleggerendo il peso delle parti contro la guerra in Vietnam a favore di un ritratto felice e positivo dell’amore libero, una celebrazione creativa dell’uso delle droghe e un inno alla libertà d’espressione totale. I capelli del titolo erano la bandiera estetica della nuova America, la loro lunghezza non era solo simbolo di ribellione ma anche di rifiuto di qualsiasi discriminazione e restrizione dei ruoli di genere. I vestiti trasandati erano un rifiuto del materialismo imperante, e l’utilizzo di capi e tessuti africani e dei nativi era la loro dichiarazione di adesione all’abbraccio di tutte le culture, senza gerarchie culturali. Con brani come Colored Spade, Dead Man e Black Boys/White Boys lo spettacolo affronta la questione razziale, l’alienazione e frustrazione della comunità nera e il diritto alle relazioni multirazziali. La libertà sessuale è uno dei temi portanti di Hair, celebrata esplicitamente nell’esortazione che Woof canta agli altri in Sodomy: “join the holy orgy Kama Sutra” (unisciti alla sacra orgia Kama Sutra). Il clima generale dà vita a una festosa commistione di pacifismo, ambientalismo e spiritualità che ritornano in ogni singolo pezzo, dalle più famose Aquarious, Let the Sunshine In e I got Life alle varie 3-5-0-0, Abie Baby, Hare Krishna e tutte le altre.



Al suo debutto a Broadway Hair ricevette prevalentemente critiche positive dalla stampa, ma un punto controverso, dibattuto sui giornali persino prima della prima, fu l’utilizzo della nudità. Alla fine del primo atto l’intero cast si riuniva nudo sul palco, costringendo alcuni giornalisti che

avevano assistito all’anteprima a sforzarsi nella numerazione esatta di quanti attori fossero senza vestiti addosso. Il linguaggio profano, i temi dissacranti e persino un utilizzo non convenzionale della bandiera americana potevano far storcere il naso alla critica e al pubblico conservatore ma non furono oggetto di tentativi di censura. Furono invece la nudità totale, l’esplicita fisicalità con cui venivano mimati gli atti sessuali e l’esecuzione dell’atto di bruciare la cartolina militare che crearono qualche difficoltà al musical quando negli anni successivi venne portato in tournée negli Stati Uniti e all’estero. A Londra si dovette aspettare l’abolizione della censura con un atto parlamentare nel settembre del 1968 perché potesse debuttare nei teatri di Shaftesbury. Più complicate furono le sue sorti, legali e non, a Boston e negli stati del Sud degli Stati Uniti nei primi anni ‘70. Nello stesso anno del debutto di Hair David Paul O’Brian era stato condannato a sei anni di reclusione per aver bruciato la sua cartolina di leva, con una sentenza che negava il diritto di libertà di espressione ai gesti, limitandola alla parola. In effetti, mentre il Primo Emendamento della costituzione veniva ormai applicato sempre alla letteratura e al cinema, il caso del teatro era ancora in una zona grigia.



La messa in scena a teatro di quello stesso gesto insieme alle numerose manifestazioni di richiamo a vari atti sessuali portò le istituzioni locali di diverse città a tentare di bloccare lo spettacolo. Tra il 1970 e il 1974 I produttori di Hair ricorsero in diverse occasioni a battaglie legali che in molti casi riuscirono a vincere, come quando la corte del Massachusetts stabilì che, anche laddove le ‘oscenità’ rappresentate non abbiano nessuna rilevanza sociale, a teatro esse vengono rappresentate di fronte ad un pubblico consapevole che ha deliberatamente scelto (e pagato) per assistervi e che dunque qualunque tentativo di bloccare lo spettacolo corrisponde ad un illecito. Un’altra importante vittoria decretò non solo che nessun edificio pubblico potesse negare l’accoglienza ad uno spettacolo preventivamente programmato ma anche che i gestori dei teatri pubblici non potessero avere nessuna voce in capitolo nell’alterare in nessun modo il contenuto dello spettacolo, pratica fino ad allora diffusa che corrispondeva a vera e propria censura.



Il perdurante successo di Hair va al di là del Tony Award ricevuto nel 1969, delle innumerevoli repliche a Broadway, negli Stati Uniti e all’estero, oltre le hit da classifica presenti nell’opera, oltre la fama dell’omonimo film diretto nel 1979 da Milos Forman. Al di là dei suoi meriti artistici e culturali, la sua realizzazione negli anni ha contribuito a creare una serie di precedenti legali che parteciparono a definire la libertà performativa a teatro e a conferirle le garanzie costituzionali sancite dal Primo Emendamento della costituzione americana.



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