GIORNO PER GIORNO 27 marzo - Wounded Knee alla premiazione Oscar
- Andrea Colombu
- 27 mar 2021
- Tempo di lettura: 7 min
27 marzo 1973

Premiazione degli Oscar. Marlon Brando vincitore per il Padrino di Francis Ford Coppola non si presenta. Al suo posto sale sul palco Sacheen Littlefeather, nativa americana, con un comunicato.

Sul palco del Dorothy Chandler Pavilion, a Los Angeles, in California, la giovane donna con abito tradizionale Apache in pelle di daino e pietre colorate prova a leggere un foglio con il messaggio scritto da Marlon Brando. Le hanno detto che non potrà leggere che poche parole, 60 secondi di tempo. La ragazza giustamente emozionata improvvisa, ha il tempo di dire poche cose: “"Marlon Brando ... mi ha chiesto di dirvi, in un discorso molto lungo che non posso condividere con voi al momento - a causa del tempo - ma sarò lieta di condividere con la stampa in seguito, che deve... con molto rammarico non può accettare questo premio così generoso. E la ragione di ciò è... sta anche nel trattamento riservato agli indiani d'America oggi da parte dell'industria cinematografica... scusatemi... e anche nei telefilm alla televisione, e poi i recenti avvenimenti a Wounded Knee… in questo momento non si sente di prendere parte a questa serata e che in futuro... i nostri cuori e la nostra comprensione incontreranno amore e generosità. Grazie a nome di Marlon Brando”.

Qualcuno applaude, qualcuno fischia. Roger Moore e Liv Ulmann, presentatori della serata hanno facce incredule e indecise. Qualcuno, anzi troppi e troppo stronzi, fanno commenti scemi. Qualcuno sul momento, qualcuno dopo. Clint vorrebbe ritirare un premio a nome di tutti i cowboys cinematografici uccisi. Ma non fa ridere perché non sa neanche raccontare bene le battute idiote. John Wayne, seccato per non aver potuto raccontare lui quella battuta idiota, molto simpaticamente rivendica la possibilità di farla scendere in fretta dal palco alla maniera dei rudi cowboys da saloon. I giornali vanno subito ad indagare sulla personalità della ragazza. “È un’attrice, non è un’indiana”, strilla uno. “Ho beccato una foto di quando a scuola era stata eletta miss vampire!”, dice soddisfatto un altro. La ragazza il cui nome originario è Marie Louise Cruz, in realtà è una nativa americana: in parte Apache, in parte Yaqui, in parte Pueblo e in parte Caucasica. Ma l’industria cinematografica risponde scompostamente: “Che c’entrano gli indiani con gli Academy Awards?”. Persino l’altrimenti serio e tutt’altro che reazionario Michael Caine si sente di rimproverare Marlon Brando per non essere salito lui a denunciare il genocidio dei nativi americani e il trattamento che il cinema (e la Storia) avevano riservato loro. È in corso dal 27 febbraio la clamorosa occupazione di Wounded Knee nella riserva di Pine Ridge, da parte dei nativi guidati dall’American Indian Mouvement, da un mese sono sotto assedio. Ma la stampa ignora l’evento e anche in questo caso tutto viene usato per far finta di non capire le parole che Marlon Brando ha scritto e che Sacheen Littlefeather ha presentato distribuendo alla stampa la sera stessa. Un documento lungo che sintetizza:

Per 200 anni al popolo indiano, che lottava per la propria terra, la propria vita, le proprie famiglie e il proprio diritto di essere libero, noi abbiamo detto: “Deponete le vostre armi, amici, e noi vivremo insieme. Solo se deporrete le armi, amici, si potrà parlare di pace e arrivare ad un accordo che vi porterà la felicità”. Quando deposero le armi, noi li assassinammo. Noi mentimmo loro. Noi li defraudammo delle loro terre. Noi li facemmo morire di fame per mezzo di accordi fraudolenti, da noi definiti “trattati” e da noi mai rispettati. Noi li riducemmo ad essere accattoni in un continente che aveva dato loro da vivere a memoria d’uomo. Né rendemmo poi loro giustizia, interpretando sempre in maniera distorta la Storia. Non fummo né leali né giusti. Non ci siamo sentiti tenuti a rendere giustizia a questo popolo, né a lasciarlo vivere secondo quei trattati. E ciò in virtù di un potere che ci arroghiamo e con il quale violiamo i diritti altrui, ne prendiamo le proprietà, gli distruggiamo la vita se cercano difendere la loro terra e la loro libertà. Facciamo delle loro virtù un crimine e dei nostri misfatti una virtù. (…) “Ma una cosa brucia i poteri di questa perversione ed è il tremendo verdetto della Storia. E la Storia sicuramente ci giudicherà. Ma quale importanza ha questo per noi? Quale sorta di schizofrenia morale ci permette di strepitare per tutto il mondo che noi viviamo nella libertà, quando tutti gli assetati, affamati, umiliati giorni e notti degli ultimi anni di vita dell’Americano Indiano smentiscono questa voce?”

Marlon Brando a diciannove anni nel 1943 si era trasferito a New York City e subito dopo gli anni delle lezioni di recitazione alla New School for Social Research aveva mostrato la sua vicinanza alla battaglia contro la segregazione razziale e nel 1959 era stato uno dei membri fondatori della sezione hollywoodiana di SANE, un gruppo che si batteva contro le armi nucleari formato insieme agli artisti neri americani Harry Belafonte e Ossie Davis. Aveva sostenuto economicamente iniziative di inclusione sociale e culturale nei quartieri poveri e il fondo di borse di studio istituito per i figli di Medgar Evers, il leader afroamericano del Mississippi assassinato. Nell'agosto del 1963, aveva partecipato alla marcia su Washington a braccetto con James Baldwin insieme alle altre celebrità Harry Belafonte, James Garner, Charlton Heston, Burt Lancaster e Sidney Poitier. In altre occasioni aveva partecipato a marce e manifestazioni con Paul Newman e leader afroamericani contro la segregazione razziale. Tante volte per questo era incorso nel boicottaggio dei suoi film in certi stati del sud.

Formalmente era finito da un pezzo il maccartismo, la caccia alle streghe lanciata dal senatore McCarthy in parallelo con il paranoico capo dell’FBI Edgar G(man) Hoover. Per anni si erano cercati nel mondo della cultura e dello spettacolo agenti infiltrati del nemico, bolscevichi travestiti da attori e attrici, comunisti tremendi tramanti nell’ombra coperti da identità di scrittori, sceneggiatori, attori e registi. Negli anni ’50 si era invitati alla delazione, alla denuncia di veri o presunti comunisti che attraverso le produzioni hollywoodiane avrebbero voluto impossessarsi delle menti dell’ingenuo pubblico. Non erano stati in molti ad opporsi alle aberrazioni di quel sistema inquisitorio e ricattatorio, per cui prima veniva il teorema che accusava il colpevole (di che?) e poi gli si appiccicavano sopra prove e testimonianze estorte. Tra i “vecchi” Humphrey Bogart e Laureen Bacall avevano guidato una marcia di protesta. Altri come Dashell Hammett pagarono col carcere (e l’allontanamento dagli Studios) il rifiuto di testimoniare contro chiunque.

Ancora negli anni Sessanta restava pesante il clima a Hollywood e nel mondo culturale: centinaia e centinaia di persone si erano trovati senza lavoro, altri rimarranno per decenni nella lista nera dei produttori cinematografici. Il regista Elja Kazan era tra quelli che dopo aver fatto nomi e raccontato iperboliche circostanze contro i propri colleghi, ne aveva rivendicato le motivazioni. Disse che anche il film Fronte del porto, film premiato con otto Oscar tra cui quello come miglior attore a Marlon Brando, aveva lo stesso significato. Certo che è difficile vedere un delatore nel protagonista, Brando, costretto a perdere un incontro di boxe, per gli interessi di un boss mafioso e a chinare sempre la testa se vuole lavorare, ma che entra in crisi quando deve coprire gli assassini del collega portuale che aveva osato ribellarsi e che alla fine scoppia quando anche il fratello viene ucciso e decide di opporsi legalmente contro il boss, a costo di perdere per sempre il lavoro.
E infatti Brando sceglieva i film dove recitare e anche quando ritirarsi, come era accaduto subito dopo l’assassinio di Martin Luther King, rinunciando a partecipare a una nuova lavorazione come interprete principale "Se il vuoto lasciato dalla morte del dottor King non ci riempie di preoccupazione e comprensione e di una forma nuova reciproca di amore, allora penso che saremo davvero persi...". L’impegno con la comunità afroamericana era continuato con l’abbraccio a Bobby Seale e Huey Newton e l’appoggio, anche economico alle Pantere Nere e poi con la denuncia dell’assassinio in carcere da parte delle guardie del leader nero George Jackson.

L’impegno di Marlon Brando a fianco dei nativi americani era di vecchia data e il 2 marzo 1964 era stato arrestato durante un’azione di protesta per il rispetto dei trattati che garantivano loro i diritti di pesca i certi fiumi. In quella data Janeth McCloud, già allora madre spirituale della comunità, aveva chiesto a personalità pubbliche e dello spettacolo di sostenere l’azione pratica di riaffermazione dei diritti negati. La tattica che Janet McCloud aveva maturata con la frequentazione dell’attore e attivista nero Dick Gregory consisteva nell’attirare l'attenzione facendosi sostenere da personalità conosciute, farsi arrestare e, rimanendo in prigione, lanciare testimonianze di resistenza. L’azione di protesta, un’annunciata pesca collettiva abusiva secondo le leggi dello Stato, ma legittima secondo i trattati di pace stipulati, chiamata fish-in, ispirato ai sit-in delle lotte per i diritti civile, vide tra i più esposti Marlon Brando, il pastore episcopale John Yaryan di San Francisco e il leader tribale di Puyallup Bob Satiacum. La cattura dei salmoni nel fiume Puyallup fu interrotta dall’arrivo di decine di poliziotti e l’arresto dei protagonisti.

Nel momento in cui Sacheen Littlefeather si presenta sul palco del Dorothy Chandler Pavilion, a Los Angeles al posto di Marlon Brando, i nativi dell’American Indian Movement sotto assedio a Wounded Knee, hanno chiesto la solidarietà delle comunità nere, dei latinos e asiatiche, degli studenti, del mondo della cultura e dello spettacolo. In molti stavano raccogliendo l’appello. Prima di dar inizio dell’occupazione Russell Means, Dennys Banks e altri attivisti AIM erano andati a consultarsi proprio con Janeth McCloud, veterana di mille lotte e guida spirituale. La conversazione con la donna rafforza la loro decisione e quella di chiedere azioni forti e clamorose di sostegno. Marlon Brando con la sua decisione di non ritirare il premio Oscar e con il messaggio inviato riuscirà a sollevare un’ondata di proteste e suscitare un grande movimento di solidarietà nei confronti della loro lotta. Il suo messaggio al pubblico che seguiva al teatro o in televisione la cerimonia degli Oscar conteneva questo passo: “Avrei voluto essere qui stasera per parlarvi direttamente, ma ho ritenuto di essere forse più utile a Wounded Knee, a prevenire una pace disonorevole “finché i fiumi scorreranno e l’erba crescerà”. Spero che non riterrete questa una brutale interruzione, bensì un serio sforzo di attirare l’attenzione su un popolo, in rapporto al quale si determinerà se questo Paese ha il diritto o no di affermare di vivere negli inalienabili diritti di tutto il popolo a rimanere libero e indipendente nelle terre che hanno nutrito la sua vita a memoria d’uomo. Grazie della vostra benevolenza e della vostra cortesia verso Miss Piccola Piuma. Grazie, e buona notte”.
Marie Louise Cruz Sacheen Littlefeather ha continuato a battersi per i diritti del suo popolo.
Dell’occupazione di Wounded Knee il blog bizarre ha scritto il 27 febbraio. Con Leonard Peltier nel cuore: Free Leonard Peltier prigioniero politico dell’AIM.
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