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GIORNO PER GIORNO 26 giugno - Una camminata celestiale

26 giugno 1971

 

Una camminata celestiale


Il giovanissimo funambolo Philippe Petit passeggia su un cavo che collega le due torri di Notre Dame a Parigi regalando agli occhi del mondo un gesto clandestino che infrange tutte le regole, un’affermazione di pura bellezza e libertà.



È mattina presto quando i passanti che sollevano lo sguardo per ammirare le torri della cattedrale parigina vedono la fune tesa tra esse e, cosa che li lascia senza fiato, la silhouette di una persona che, armata solo di un’asta per bilanciarsi, vi cammina sopra con incredibile grazia e leggerezza. Qualcuno entra in chiesa, dove si tiene una funzione, per segnalare quella presenza stupefacente: “c’è un funambolo che cammina tra le due torri!” a cui uno dei sacerdoti risponde “ma è straordinario”, mentre insieme si recano fuori per unirsi alla piccola folla che si sta formando per assistere a quello spettacolo mai visto prima. Le teste rivolte all’insù, tutti sono come stregati ad ammirare i ripetuti percorsi da un capo all’altro del cavo, realizzati a passi piccoli ma fluidi e sicuri, a volte interrotti da momenti in cui il funambolo si inginocchia sul cavo, per poi riprendere la sua bizzarra passeggiata.



Su una delle torri è ormai arrivata anche la polizia, perché per essere lì a incantare tutti con quel gesto straordinario e inconcepibile quell’uomo ha certo commesso almeno un reato: come è arrivato sulle torri se non violando la proprietà? Ma questa e altre domande devono rimanere sospese per tutto il tempo che il funambolo rimane sospeso sul cavo, persino godendosi un meritato risposo di qualche minuto sdraiato sul vuoto, la faccia rivolta al cielo e una gamba penzoloni verso il basso. Del resto cosa possono fare i poliziotti, correre ad acchiapparlo?



Quando finalmente Philippe Petit, il funambolo che sembra letteralmente piovuto dal cielo, con un sorriso che è di gioia e sberleffo insieme raggiunge la polizia su una delle torri sa che verrà arrestato. Ha offerto agli astanti uno spettacolo magico, un gesto poetico, delicato e grandioso insieme, regalando loro una forma di bellezza talmente pura che nessuna parola o spiegazione potrà mai contenere. Eppure la stupefacente naturalezza della sua passeggiata è frutto di una lunga pianificazione, condotta negli anni con maniacale attenzione a tutti i dettagli e volta a eludere i numerosi ostacoli, anche legali, che si frappongono fra il suo sogno funambolico e la sua realizzazione.


Classe 1949, fin da bambino Philippe Petit si dimostra allergico alle regole e all’autorità. Ama arrampicarsi dappertutto e soddisfa la sua naturale curiosità verso il mondo che lo circonda con autonomia. Gli piace scoprire da solo come sono fatte e come funzionano le cose, rifiuta i sistemi di apprendimento codificati dalla scuola, li trova sterili e asfissianti. La sua prima passione è la magia ma la sua sete di conoscenza è onnivora: disegna, dipinge, scrive, fa scherma, teatro, equitazione. Da adolescente si concentra sulla giocoleria, a cui si applica con una disciplina ferrea. Ovviamente il suo percorso scolastico è un disastro e persino i genitori acconsentono a renderlo legalmente emancipato quando ha 17 anni, esattamente nel momento in cui Philippe si innamora del funambolismo. Diventa artista di strada: la città è il teatro in cui si esibisce incantando il pubblico dei passanti.



In quegli anni due passioni folgoranti convergono nel cuore del giovane Petit. La prima passione è il funambolismo, un’arte che richiede non solo una pratica costante e una perseveranza ostinata ma anche un rigoroso studio tecnico sulle leggi fisiche e sui materiali e ingranaggi con cui viene eseguita: la struttura della fune (che sia la corda delle esibizioni più basiche o il cavo metallico di quelle più spettacolari), le leggi fisiche a cui obbedisce, i calcoli della tensione ottimale, i nodi e gli ingranaggi che la rendono sicura, la sua reazione alle diverse condizioni climatiche. Ed è mentre perfeziona l’esercizio di questa passione che la seconda lo folgora: nel 1968 un giornale francese pubblica un articolo sul progetto di costruzione del World Trade Center di New York, con il prospetto delle future Torri Gemelle che svetta accostato idealmente al disegno della Tour Eiffel. Con un tratto di matita la mano di Philippe congiunge la cima delle due torri e lui fantastica una camminata ad altezze inimmaginabili. La crescente padronanza della sua arte e quella notizia che non è ancora realtà gli spalancano le porte di un sogno che non sapeva ancora di poter sognare.



Ci vorranno anni perché le torri che hanno acceso il sogno di Philippe Petit vengano erette, eppure lui già studia, disegna, pianifica in direzione di quell’impresa impossibile. Vive a Parigi, il suo minuscolo appartamento è vicino a Notre Dame e un giorno riconosce nelle due torri dell’imponente cattedrale gotica una corrispondenza reale con l’immagine del suo sogno. E comincia ad elaborare in concreto un piano d’azione. Per prima cosa costruisce un modellino in scala della chiesa, che gli serve a prendere in considerazione tutti gli aspetti coinvolti e anche a prevedere possibili imprevisti. Su quel modellino fa calcoli tecnici, studia la logistica. Quanto materiale serve e quanto peserà? Dove andrà montato? E come sarà possibile introdursi a Notre Dame per farlo? Nessuno gli darà mai i permessi per un’azione apparentemente così insensata e per di più irragionevolmente pericolosa. Come non farsi scoprire da quelle autorità che già lo hanno arrestato diverse volte per i suoi spettacoli di strada senza permesso?



Come per ogni piano criminale che si rispetti, Philippe Petit ha bisogno di complici. Tra i primi e certamente i più fidati sono Annie, la sua fidanzata, e Jean-Louis Blondeau, con i quali trascorre infinite ore davanti al modellino, Annie e Jean-Louis lo aiutano a focalizzarsi sui difetti del piano, sulle sue mancanze e a prevedere gli ostacoli. Solo l’attenta considerazione di tutti i possibili problemi e imprevisti innesca la miccia dell’ingegno creativo che porta alla loro soluzione. Come quando decidono che il modo migliore per passare il cavo tra le due torri è quello di legare un filo leggero ad una pallina che verrà lanciata da un terrazzo a quello dell’altra torre, per poi legarci e passarsi una corda a cui legare il pesante cavo. Per mesi e mesi Philppe e i suoi assistenti fanno sopralluoghi e inscenano prove generali del ‘colpo’. Con una chiave universale Petit è in grado di scassinare qualsiasi serratura ed è così che, la notte tra il 25 e il 26 giugno 1971, si introduce coi suoi complici a Notre Dame per fissare alla perfezione il cavo, i suoi ingranaggi attentamente calibrati, i tiranti che danno stabilità al cavo sapientemente ancorati ai punti strategici, tutto eseguito in clandestinità per esser pronto allo strabiliante spettacolo della mattina, che Jean-Louis Blondeau documenta da una delle torri con la sua macchina fotografica.



Nei giorni successivi i giornali di tutto il mondo riportano in prima pagina la notizia di quell’atto non per la sua natura criminale ma per l’incredibile meraviglia che suscita, per la bellezza che sprigiona un atto di libertà creativa senza precedenti eseguito con una maestria e uno stile senza uguali. Perché chi ha visto Philippe Petit camminare a 70 metri da terra tra i due campanili, non ha respirato il brivido della paura che cadesse, come spesso accade coi funamboli al circo. Tutto sembra avvenire senza sforzo e senza paura, così che il gesto non appaia come l’arrogante sfida alla morte di uno spericolato ma come l’affermazione vitale della sconfinata bellezza della creatività umana. Sono gli anni di studio, di pratica costante, di perfezionamento, di pianificazione, di tentativi, deviazioni, errori ad aver cancellato la paura dal vocabolario esistenziale ed espressivo di Philppe Petit, che non salirebbe mai sul cavo senza la consapevolezza di non essere a rischio che gli deriva dalla scrupolosità quasi ossessiva con cui si occupa personalmente di tutto.



Di tutto questo il pubblico vede solo la parte finale, la fluida naturalezza della passeggiata di Petit, la serena concentrazione di quell’uomo in perfetta comunione col cielo, indifferente al vuoto sottostante, in grado di mostrarci come possibile ciò che credevamo impossibile, perché questo è il fuoco creativo che anima Philppe Petit che infatti, appena le Torri Gemelle verranno completate nel 1974, le inaugurerà con una camminata che è a tutti gli effetti un capolavoro di creatività.


Man on Wire della band 27


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