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GIORNO PER GIORNO 24 maggio - I Freedom Riders non si fermano

24 maggio 1961

 

I Freedom riders non si fermano



La carovana della libertà era partita da Washington DC il 4 maggio e l’obiettivo era l’arrivo a New Orleans il 17 dello stesso mese. Età media tra i quaranta e i cinquanta anni, attivisti afroamericani per i diritti civili, affiancati da altri attivisti bianchi, avevano deciso di sfidare le consuetudini razziste che continuavano a imporre, soprattutto negli Stati del Sud, la segregazione razziale nei mezzi pubblici. Le sentenze della Corte Suprema avevano infatti stabilito che era incostituzionale la segregazione nei mezzi interstatali, ma soprattutto in Alabama, Mississippi, Louisiana le Leggi Jim Crow erano ancora applicate e la separazione obbligatoria.


Organizzati dal CORE (Congresso of Racial Equality) in tredici (sei bianchi e sette neri)salirono per primi sui bus Greyhound e Trailways, in attesa che si unissero più avanti le altre decine di militanti provenienti da trentanove stati. Tutti avevano fatto pratica di risposta non violenta e sapevano che in caso di arresto il CORE avrebbe provveduto a versare la cauzione per il rilascio. La tattica prevedeva di occupare i posti riservati abusivamente o per consuetudine ai bianchi e di posizionarsi tra le prime file un bianco a fianco a un nero. Tutti sapevano di rischiare. Le azioni per richiamare le autorità all’applicazione corretta delle sue stesse leggi si era intensificata negli ultimi anni con la partecipazione delle organizzazioni studentesche afroamericane con boicottaggio dei mezzi, sit in, che spesso finivano con aggressioni organizzate dai suprematisti bianchi e dal Ku Klux Klan. Il primo viaggio della libertà si rifaceva a un precedente del 1947 , il Journey of Riconciliation, che era stato interrotto dall’arresto di alcuni militanti afroamericani, condannati poi ai lavori forzati.


L’azione di protesta non violenta era stata resa pubblica e la macchina repressiva si era subito messa in moto. Per impedire il successo dell’azione il potere bianco era disposto a usare tutto il suo armamentario che comprendeva anche il paternalismo e l’uso dei media per stravolgerne il senso. Nel momento in cui tutti i primi trecento viaggiatori della libertà erano stati assaliti, picchiati e arrestati per non aver rispettato le leggi segregazioniste locali, in Alabama e in Mississippi, erano arrivati tantissimi altri il 19 maggio, soprattutto giovani e studenti per riprendere il viaggio. Il viaggio era stato rallentato, ma l’obiettivo di raggiungere New Orleans rimaneva valido. La Greyhound si era rifiutata di partire, gli autisti si erano detti impauriti, ma il governatore dell’Alabama aveva dovuto promettere protezione. A Birmingham, prima di arrivare a Montgomery, bande di bianchi armati presero d’assalto i pullman, mentre la polizia si ritirava. Teste rotte, i mezzi bruciati, i giornalisti picchiati, fotocamere distrutte perché non si documentasse la violenza. Le ambulanze arrivavano e ripartivano senza soccorrere i feriti.


La notte del 21 maggio sono più di millecinquecento gli afroamericani che si radunano nella chiesa battista con la presenza di Martin Luther King. Fuori tremila bianchi armati. La situazione ormai è precipitata, ma nel mentre il caso era diventato nazionale. Lo stesso Bob Kennedy, procuratore generale degli Stati Uniti, che passava per essere il più aperto dei democratici, era intervenuto garantendo l’incolumità dei Freedom Riders, che in cambio dovevano adottare un atteggiamento di moderazione. Cosa volesse dire con moderazione era chiaro, rinunciare a sedersi affiancati bianchi e neri o nei primi posti.


In realtà, sottobanco, l’amministrazione Kennedy, aveva concordato con i governatori di Alabama e Mississippi che la polizia garantisse la protezione dei viaggiatori neri che però avrebbero potuto arrestare se avessero infranto le leggi segregazioniste locali, che pure erano state dichiarate illegali.


Mercoledì 24 maggio alla stazione di Montgomery sono pronti per partire decine di nuovi attivisti, direzione la città di Jackson, Mississippi, mentre altre decine di nuovi volontari sono in arrivo per imbarcarsi nei giorni successivi. La determinazione è più forte delle minacce e della paura.


All’arrivo a Jackson, un giorno dopo l’altro vengono arrestati tutti. La determinazione e l’intelligenza creativa del movimento si dimostra ancora una volta più forte dell’ottusa repressione e diventa un’arma in più. L’idea, che verrà utilizzata da tutti i movimenti americani degli anni Sessanta diventa quella di individuare le città con le carceri più piccole, farsi arrestare in massa, intasare le prigioni locali, intonare canti di libertà per tutta la giornata e la notte dandosi i turni. Niente di meglio che rendere impossibile lo stesso esercizio della repressione. Far inceppare il meccanismo repressivo per eccesso di repressione: il nome che venne dato a questo metodo non-violento Jail-in, in breve tempo si sarebbe diffuso ovunque e sarebbe diventato ancora più efficace ed eclatante quando personalità del cinema, dell’arte e dello spettacolo iniziarono a unirsi, decisi a farsi arrestare anche loro come Marlon Brando, Jane Fonda, Sidney Poitier.


I fratelli Kennedy, a quel punto, emettono il loro verdetto di condanna contro le Freedom Rides e i loro organizzatori, colpevoli di aver messo in imbarazzo l’intera nazione allora impegnata nel confronto a muso duro con l’altra superpotenza, i sovietici, in quella che veniva definita Guerra fredda. Avevano chiesto ai leader neri “un periodo di raffreddamento”, ottenendo come risposta da James Farmer, leader del CORE: "Ci stiamo raffreddando da 350 anni, e se ci calmassimo ancora, saremmo in un congelamento profondo”.


L’attenzione che la resistenza e la lotta per i diritti civili degli afroamericani ha oltrepassato i confini degli Stati Uniti e l’indignazione diffusa alle notizie che arrivano dai corrispondenti ai giornali europei, mettono in serio allarme i Kennedy, preoccupati di dover dimostrare che solo l’Unione sovietica fosse uno stato repressivo.


Il 29 maggio 1961 il Procuratore Bob Kennedy fu costretto a mandare una petizione all’Interstate Commerce Commission perché ogni stato conformasse le sue leggi alle sentenze che sancivano la fine della segregazione razziale e l’inapplicabilità delle leggi Jim Crow.


Nei tre mesi successivi gli attivisti afroamericani intensificarono le azioni, con centinaia di Freedom Rides, allargando ad altre situazioni il campo d’intervento. Ovunque si operasse discriminazione e segregazione si interveniva in gruppo, ristoranti, bar, bagni pubblici, trasporti, iniziando una sperimentazione di forme di lotta che in seguito sarebbero state adottate dalle comunità LGBTQ, dagli studenti, dalle minoranze etniche,dal movimento contro la guerra.

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