GIORNO PER GIORNO 24 giugno - Un’utopia che scatena la guerra
- Andrea Colombu
- 24 giu 2021
- Tempo di lettura: 2 min
24 giugno 1968
Un’utopia che scatena la guerra

Fuga dalla burocrazia o utopia di libertà. L’isola delle Rose non ha avuto nemmeno il tempo di definire una sua identità: all’indomani della proclamazione di indipendenza, è stata occupata militarmente. Vissuta come una minaccia dallo Stato Italiano, la piattaforma realizzata al largo di Rimini è stata occupata militarmente e distrutta lasciando in eredità un sogno in esperanto, francobolli da collezione e il limite delle acque territoriali allontanato a 12 miglia, tanto per essere sicuri che nessuno ci riprovasse.

L’isola delle Rose non era altro che una piattaforma leggera ma resistente progettata e realizzata dall’ingegner Giorgio Rosa, che la fece brevettare. I 400 metri quadrati sistemati a oltre 500 metri dall’allora limite delle acque territoriali, divennero presto un’attrazione turistica capace di attirare anche visitatori stranieri. Pensata come iniziativa commerciale, venne plasmata in utopia di libertà dai venti di cambiamento che soffiavano sul ’68. E proprio il 24 giugno di quell’anno, che Rosa e i suoi decisero di proclamare l’autonomia dell’Isola delle Rose che si era dotata di lingua ufficiale – l’esperanto –, di una moneta - mai stampata -, di un bar, di una bandiera e di un ufficio postale che emetteva francobolli prontamente annullati dalle Poste italiane. In tanti avevano chiesto la cittadinanza, in tanti volevano acquistare uno spazio sull’isola divenuta punto di riferimento di artisti e poeti che volevano vivere in libertà. L’unica legge sulla piattaforma era non avere leggi. Così a decine si facevano portare in barca sulla piattaforma che sognava in grande. Ma l’isola era al centro delle ansie dello Stato Italiano che vedeva in quel micro stato una minaccia concreta. La costruzione, iniziata nel 1965 e terminata l’anno dopo, era stata seguita con non poca apprensione. All’ingegner Rosa, che poi si proclamò capo di stato della sua piattaforma, venne anche recapitato un ordine di demolizione che lui rispedì al mittente facendo notare di essere in acque extraterritoriali e che dunque nulla doveva alle autorità italiane. Non mancarono neppure preoccupazioni più complottiste che vedevano in quella costruzione un’operazione di matrice russa o cinese paventando il pericolo comunista a poche miglia marittime dalla costa italiana. La piattaforma divenne presto qualcosa di troppo simbolico per il movimento hippie e per le trasformazioni sociali in atto, finendo così nel mirino del ministero dell’Interno che alla fine arrivò a dichiarare guerra all’Isola delle Rose. Attorno alla piattaforma continuavano a crescere clamore e ansie così - il 24 giugno 1968 - l’ingegnere rompe gli indugi e ne dichiara l’indipendenza. Il giorno dopo scatta un blocco navale e l’assalto delle forze dell’ordine italiane che occupano l’isola facendo ‘prigionieri’ gli unici due abitanti. Si trattava di Pietro Bernardini, che, aveva raggiunto la piattaforma dopo un naufragio nell’Adriatico e 8 ore in mare. Così aveva deciso di stabilirsi lì con sua moglie. AI due fu consentito di tornare a terra solo dopo diversi giorni dall’occupazione. A nulle servono i cortei e le manifestazioni di solidarietà, anche internazionali, in favore dell’utopia. Nulla poterono nemmeno le interrogazioni parlamentari, le lettere al presidente della Repubblica e al tribunale internazionale dell’Aja. All’occupazione militare seguì la distruzione con due tonnellate di esplosivo piazzati dai sommozzatori della Marina Militare che cancellarono un sogno di libertà.

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