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GIORNO PER GIORNO 22 giugno - Poesia oltre la morte

22 giugno 1967

 

La poesia oltre la morte: Anne Waldman celebra Frank O’Hara



St. Mark’s Church: Frank O’Hara Memorial day quasi un anno dopo la scomparsa del poeta.


Avevano chiamato Second-Generation N.Y. School il gruppo di poeti di cui facevano parte Anne Waldman, Ted Berrigam, Ron Padgett, Dick Gallup e altri, che avevano ripreso i temi, la poetica di John Ashbery, Barbara Guest, Kenneth Koch e James Schuyler e soprattutto di Frank O’Hara scomparso il 25 luglio del 1966 a cui dedicano un memorial reading collettivo e un richiamo costante durante la programmazione annuale del Poetry Project.


“Quello che più di tutto mi interessa è il mondo così come lo vivo io, e a volte, quando vorrei morire, il pensiero che non potrei più scrivere una poesia mi ha finora sempre trattenuto. Penso che sia un’attitudine ignobile: morirei per amore, piuttosto, ma per ora ancora niente.” Aveva scritto O’Hara in Statement for the new American poetry.



Frank O’Hara, critico d’arte, curatore di mostre, musicista e infine poeta era stato dall’inizio degli anni Cinquanta l’esempio più semplice e riconoscibile di una generazione che superava i limiti tra i diversi interessi artistici e la vita, tra quello che è pubblico e il privato, tra creatività e forma. Per poter definire o provare in qualche modo a incasellare la sua poetica si è fatto ricorso alla forma del mito, dell’archetipo, nell’impossibilità di farne uno stereotipo.


Può darsi che la poesia mi renda tangibili gli eventi nebulosi della vita e ne restituisca il dettaglio; o al contrario che la poesia faccia emergere la qualità intangibile di incidenti fin troppo concreti e circostanziali. O ciascuno in occasioni specifiche, o entrambi sempre.”


Uomo di successo, per niente maledetto, viveva apertamente la sua omosessualità, pubblicamente come una normalità, in un’epoca in cui ancora era considerata segno di devianza, aberrazione, vizio. Le sue frequentazioni erano quelle dell’avanguardia artistica e dell’espressionismo astratto di cui lui e gli altri poeti avevano preso in prestito il nome New York School, Larry Rivers, Grace Hartigan, Willem de Kooning e Jackson Pollock. I poeti presentavano con loro le proprie poesie, le stesse gallerie pubblicavano i loro libri e gli artisti si ispiravano ai loro versi. Frank O’Hara pubblica le sue prime raccolte per una galleria, la Tibor de Nagy, il luogo principale di promozione dei nuovi artisti. Un gruppo di dodici poesie, edite col titolo Oranges, nel 1952 diventano la base per altrettanti quadri di Grace Hartigan.


Per Frank O’Hara si è parlato dell’archetipo del Flaneur, dell’uomo che gira la città, senza una meta ma il cui amore per i luoghi si riversa nei versi, attraversa gli spazi fisici e tra le parole e i silenzi. Un Baudelaire senza rabbia, un osservatore della quotidianità che trasforma il sapore del mondo. La sua poesia comprende quello che vede e che ama, chi ama, il desiderio e l’intimità, la depressione e l’entusiasmo con l’uso di parole e toni che rifiutano l’accademismo, la musicalità per andare alla sostanza.


“Quando ero un bambino,/ giocavo in un angolo/ del cortile della scuola,/ da solo./Odiavo le bambole e/ odiavo i giocattoli, gli animali non/erano amichevoli,/ e gli uccellini volavano via./ Se qualcuno mi cercava/ mi nascondevo dietro/ un albero ed urlavo/ “sono un orfano”!/ Ed eccomi qua,/ il centro di tutta la bellezza!/ Scrivo queste poesie!/ Ma tu pensa!”


Una normalità portata all’estremo che risulta rivoluzionaria, come il mito delle sue conversazioni telefoniche che diventano poesie. “[Il Personismo] è stato fondato dopo pranzo da me e LeRoi Jones il 27 Agosto 1959, un giorno in cui mi ero innamorato di una persona (non Roy, tra l’altro, un biondo). Sono tornato e ho scritto una poesia per lui. Mentre stavo scrivendo, ho realizzato che se volevo potevo usare il telefono al posto di scrivere una poesia, e così nacque il Personismo”. "Guarda", scrive ancora Frank O’Hara in una lunga nota: "leggere queste cose potrebbe non aiutarti a leggere poesie, e probabilmente non aiuterà me a scriverle, ma non è divertente ?"



Anne Waldman, punto d’incontro tra la pratica poetica della Beat Generation e quella della New York School, tra lo spiritualismo del buddhismo tibetano e l’attivismo della controcultura, "attratta dalla magica efficacia del linguaggio come atto politico", come diceva di sé stessa, era tra le tante altre cose anche responsabile e direttrice del St. Mark's Church Poetry Project di New York, il progetto che si prese il compito di promuovere e far conoscere il meglio della poesia americana, gli autori più conosciuti e gli esordienti, il presente assieme al passato e al futuro. L’attivismo culturale e sociale la portava continuamente in viaggio e a spostarsi da una costa all’altra degli Stati Uniti.


Anne Waldman si trova sulla costa occidentale,a San Francisco, quando la raggiunge, dal sospeso mondo dopo la morte, l’immaginaria telefonata di Frank O’Hara: “Vivevo a San Francisco /Il mio cuore era a Manhattan /Non aveva senso, nessun punto di riferimento /Ascoltando i corni tristi di notte, /fragili evocazioni di cose femminili /I 3 toni (l'ultimo più risonante)/erano come avvertimenti, haiku-muezzin all'alba /La chiamata è arrivata nel pomeriggio/ ‘Frank, sei davvero tu?’ “


La poetessa che aveva sostenuto che "l'arte inizia con una bugia", la bugia che sostiene il patto tra la persona che crea e chi ne gode e che vuole inebriarsi alla visione o alle parole dell’artista, perché "Il pubblico vuole piangere / quando gli attori sono reali e appassionati", ha un rapporto conflittuale con la propria poesia, sente di aver bisogno di ritrovare la naturalezza e la semplicità, fuori dai lacci che imbrigliano a volte anche l’espressione artistica “Il mio spirito stava vacillando, era diventato più opaco? /Voglio essere libera dagli ornamenti della poesia, /dal suo dovere, priva di costante irritazione, /io in esso, qual era la ragione più grande? per essere? Fallo, perché? (Perché, Frank?) /Per far ballare le energie ecc.”

“Giorni inquietanti. Strada splendente con /luce allucinatoria su cani tristi, /troppe persone religiose, o una donna /mi ha sorpreso dal suo sguardo di indecisione /vicino allo stadio vuoto /Sono tornato indietro spaventato /dalla mia oscurità. Poi Frank ha chiamato per dire /‘Che cosa? Non hai ancora finito di lamentarti? /Non senti l'odore dell'eucalipto, /ti sei mai avvicinato al Pacifico?’”


A questo punto Frank O’Hara dalla sua dimora post mortem, con una linea telefonica per niente disturbata, si permette di giocare con le parole e le citazioni di un poeta metafisico del XVI-XVII secolo George Herbert, autore de Le Mortificazioni, attribuendone i versi ad Anne 'Mentre franco e libero/chiama per la musica /mentre le tue vene si gonfiano'/(cantava citando un metafisico)”. Anche George Herbert è morto da più di due secoli, ma la sua poesia e la sua musicalità fanno ancora emozionare, fanno circolare più velocemente il sangue,e poi la poesia è anche più importante del poeta. La poesia è patrimonio di chi la legge, di chi si emoziona, le sue parole hanno il significato che da chi le legge. "Non conosci il segreto, come? /svegliati e vedi che non esisti, ma quello sì, non vedi i fenomeni?”


Frank O’Hara anche non più vivo usa la disarmante facilità delle parole per smontare angoscia e turbamenti, come un tempo scriveva su come uscire dalla depressione e dall’insicurezza pensando al suo compagno: “quando sono con te sento che la vita è forte/ e sconfiggerà tutti i tuoi nemici e tutti i miei/ e tutti i tuoi e i tuoi in te e i miei/ in me/ la logica malata e il mero ragionamento sono curati/ dalla perfetta simmetria delle tue/ braccia e delle tue gambe/ che si aprono e fanno un cerchio eterno/ insieme creando una colonna d’oro intorno all’Atlantico/ la sottile linea di peli che divide il tuo torso/ dà riposo alla mia mente e rilascia le mie emozioni/ verso l’aria infinita dove dal momento che siamo insieme/ insieme sempre saremo liberi”


“Ho pianto, volendo credergli” Ma il pensiero del poeta morto che sta al telefono diventa più forte dell’eredità della sua poesia, diventa tristezza infinita, ulteriori interrogativi che svaniscono in un fumo incerto di un al di là fatto di consapevolezza e ironia nelle parole di O’Hara: “Certo che non devo sopportare come /proprio come fai in questi giorni. Questi anni . /Ma mi mancano il colore, l'architettura, /il discorso. Sai, era la vita! /E morire è un tale insulto. Dopotutto /Ero innamorato del respiro e amavo /abbracciando quegli altri, gli amanti, /con il mio corpo”.


E poi l’ultima riflessione in versi di Anne Waldman: “Sospirò e rise /Non era proprio come lo ricordavo /Non meno generoso, ma più astratto /Aveva anche una voce adesso, mi chiedevo /o ci ho pensato nel mezzo /di questa lunga giornata, telefono in mano adesso /per comporre il numero per Manhattan.”


Frank O’Hara aveva giocato con le sue poesie, sostenendo che erano un surrogato di una più diretta telefonata e ne aveva sfruttato più volte il senso, altri hanno riprodotto al rovescio l’idea, nell’impossibilità di chiamare chi non c’è più. Ci sono esempi di poesie telefonate, fatte o ricevute da poeti e artisti scomparsi, dispersi. C’è anche il Poetry Crisis Line, con una linea diretta che supera ogni barriera tra la vita e la morte. E c’è un poeta, anche lui morto, nel 2004, Pedro Pietri, portoricano di New York, del Nuyorican Cafè, anche lui come Anne Waldman compreso tra impegno culturale e sociale, che invece quelle telefonate proprio non riusciva a farle o ricevere. Nella sua raccolta poetica, ogni poesia inizia con “Cabina telefonica fuori servizio, numero…”


Alla morte di Frank O’Hara, Grace Hartigan, la pittrice che negli anni Cinquanta aveva lavorato sulla sua raccolta di poesie Oranges, gli dedica questo dipinto di grandi dimensioni.



Anne Waldman aveva aperto la sua poesia Una telefonata da Frank O'Hara con questa frase:

“Che tutte queste morti possano essere vita nella morte”

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