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GIORNO PER GIORNO 22 aprile - attori e fantasmi

22 aprile 1963

Attori e fantasmi della libertà dietro la prima teatrale italiana dell’opera Vita di Galileo di Bertold Brecht.



Alla prima della Vita di Galileo, un cast enorme, scene sontuose, tutto colpisce sin dal numero degli attori e dei ruoli, ma assieme agli attori si muovono agitati e scomposti fantasmi che emergono evocati dalle paure ed evocando altre paure, fantasmi figli ingombranti di contrasti ideologici, che partono dall’Inquisizione e si ramificano nelle azioni delle superpotenze contendenti e contrapposte nella guerra fredda, nell’incubo della morte nucleare e della guerra atomica. Parlare di eventi di quasi sessanta anni fa può sembrare archeologia, ma i fantasmi non hanno età e a non riconoscerli si rischia di averli sempre attorno.


Nel dopoguerra di Milano il Piccolo Teatro aveva simboleggiato la ricostruzione materiale e morale della città, riassumendo le aspirazioni espresse dalla lotta di liberazione dal nazifascismo, le istanze democratiche di cambiamento e il ruolo che la cultura si assumeva per illustrare e irrobustire questo insieme di richieste di libertà e rinnovamento. Il CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale e la prima giunta di centrosinistra della città avevano affidato la gestione del teatro a Paolo Grassi e Giorgio Strehler, organizzatore e regista di fede socialista. Socialisti dell’area più fermamente popolare e impegnata. L’esordio nel 1946 con Piccoli borghesi di Maxim Gor'kij era stato un grosso successo ma da allora la conduzione del teatro diventava una responsabilità che cresceva man mano che la situazione politica nazionale cambiava e soprattutto si acuiva il contrasto tra le due superpotenze, il blocco sovietico e quello americano-occidentale.



Con una prosa un po’ pomposa tipica dell’epoca nel documento programmatico Il Piccolo Teatro si presentava così: “Noi non crediamo che il teatro sia una decorosa sopravvivenza di abitudini mondane o un astratto omaggio alla cultura. Non cerchiamo e non offriamo un luogo di incontro agli svaghi, creazione di un occhio pure dignitosamente composto, lo specchio di una società che s'adorna: amiamo il riposo non l'ozio, la festa non il divertimento. E nemmeno pensiamo al teatro come ad un'antologia che raccolga e riesponga le opere memorabili del passato o le novità notabili del presente, un'informazione frettolosa o curiosa(...). Il teatro resta l luogo dove la comunità, adunandosi liberamente a contemplare e a rivivere, si rivela a se stessa; dove s'apre alla disponibilità più grande, alla vocazione più profonda: il luogo dove fa la prova di una parola da accettare o da respingere: di una parola che, accolta, diventerà domani un centro del suo operare, suggerirà ritmo e misura ai suoi giorni”.


Ogni scelta che Grassi e Strehler doveva tener conto di quella volontà di presentare un’offerta culturale “alta” nei contenuti e popolare nel significato e nella tensione morale. La presentazione dell’opera di Bertold Brecht era una nuova sfida capace di scontentare tutti, rompere equilibri, alienarsi gli intellettuali e l’opinione pubblica democratica oppure la Chiesa e la Democrazia cristiana ancora legata all’idea della censura.


La preparazione è più lunga del periodo di prove. Bisogna studiare la scenografia e capire quale taglio dare al testo di Brecht, che certo non si può modificare, ma interpretare sì, dilatarne i tempi, far risaltare un particolare, una battuta, sottolinearne un’altra. Occorre scegliere i giusti attori e poi contemporaneamente alla regia dentro il teatro, va curata quella esterna. Occorre preparare il terreno, anticipare i temi dell’opera, far conoscere l’autore, ma anche tranquillizzare la Curia, le gerarchie della Chiesa.


In ballo ci sono due cose, i finanziamenti pubblici e la costruzione del nuovo teatro più capiente e più adatto ad ospitare sia il pubblico sempre più numeroso che la messa in scena sempre più sofisticata e ricercata.


Bertold Brecht aveva iniziato a lavorare all’opera dopo aver lasciato la Germania, durante l’esilio in Danimarca nel 1938 e poi l’aveva più volte rivista dopo il trasferimento negli Stati Uniti e l’incontro con Charles Laughton: “Quando nei primi anni del mio esilio, stavo scrivendo in

Danimarca il dramma Vita di Galileo, nella mia ricostruzione dell’idea tolemaica dell’universo fui aiutato da alcuni assistenti di Niels Bohr, che stavano studiando il problema della disintegrazione dell’atomo. Era mia intenzione tracciare il quadro fedele di un’epoca nuova […] Sotto questo aspetto nulla era mutato quando mi accinsi a produrre l’ultima versione del dramma. Durante il lavoro, l’“era atomica” fece il suo esordio a Hiroshima. Dall’oggi al domani la biografia del fondatore della nuova fisica assunse un ben diverso significato. L’infernale potenza della grande bomba gettava una luce nuova e più viva sul conflitto di Galileo con le autorità del suo tempo. Poche modifiche furono necessarie al dramma, e nessuna alla sua struttura. Già nell’originale la Chiesa era rappresentata come un potere secolare, e la sua ideologia come, in fondo, permutabile con parecchie altre. Fin dal principio, come chiave di volta della gigantesca figura di Galileo era stato adottato il suo concetto di una scienza legata al popolo. [… Dopo Hiroshima] La libertà di ricerca, lo scambio delle scoperte, la comunità internazionale degli scienziati, tutto era paralizzato da dirigenti su cui ora cadeva il più pesante sospetto. Grandi fisici si affrettarono ad abbandonare il servizio del loro bellicoso governo […]. Scoprire qualcosa era diventato un’ignominia. […] Galileo arricchì l’astronomia e la fisica nello stesso tempo in cui le svuotò di gran parte del loro significato sociale. […] Il misfatto di Galileo può essere considerato come il “peccato originale” delle scienze naturali moderne”


Anni prima, il 10 febbraio 1956, Bertolt Brecht era arrivato a Milano da Berlino per assistere alla messa in scena de L’opera da tre soldi e aveva avuto entusiastiche parole di lode per la regia di Strehler, una delega a lui e al suo teatro per il monopolio della rappresentazione dell’intera sua opera.


Strehler si è ritirato da Milano per studiare la scenografia e scegliere gli attori. È in costante contatto con Paolo Grassi. Sceglie Tino Buazzelli per la parte di Galileo e scrive agli attori il senso dell’opera:


“Ricordatevi che il teatro narrativo è innanzitutto un modo di pensare, un modo di impegnarsi. […] È una scuola di responsabilità morale di scelta. […] Il teatro narrativo non ha scampo: chiede la vostra presenza totale, ragionata, cosciente. […] Il teatro di Bertolt Brecht – parlo della teoria e della pratica teatrali – non è realizzabile, a mio avviso, se non assumendo coraggiosamente le sue implicazioni politiche e accettandole nella loro fondamentale caratteristica di scienza della realtà in movimento, quindi mai come formula, ma al contrario sempre come scoperta continua del dato reale”.


Quando il regista ritorna a Milano è a bordo di una sciccosissima giulietta sprint spider, il massimo del glamour dell’epoca. Grassi pensa che eticamente sia un’esibizione sfrontata, un lusso non adatto a chi si prefigge di lavorare per un progetto popolare. Glielo dice, ha presente quanto aveva scritto lo stesso Brecht nelle note alla Vita di Galileo: “In mezzo alla tenebra che rapida si diffonde su un mondo delirante, attorniati da gesti sanguinosi e da non meno sanguinosi pensieri, tra la crescente barbarie, che sembra incalzarci irresistibile verso la guerra più grande e spaventosa di tutti i tempi, ci è difficile assumere un atteggiamento che si convenga a uomini sulla soglia di un'era nuova e felice. Non è forse vero che tutto fa prevedere la notte imminente, e nulla l'inizio di tempi nuovi? Non dovremo allora assumere un atteggiamento più consono a uomini che vanno incontro alla notte?”.


Il dandismo del regista potrebbe rafforzare le critiche che da sinistra andavano alla conduzione del Teatro accusato di lontananza dalla classe operaia e dai ceti popolari. Non era questione del prezzo del biglietto, che pure costava in media il 30% in meno degli altri teatri, era un problema di linguaggio, di separazione e lontananza. La gestione degli anni precedenti aveva cercato di ovviare al mancato afflusso di pubblico popolare allestendo pieces teatrali dall’approccio più semplice, la commedia dell’arte, l’Arlecchino servo di due padroni e La tempesta di Shakespeare.


Ora con la rappresentazione della Vita di Galileo si aveva l’occasione per portare in scena quello di cui tutti parlano. Sei mesi prima la Terra era stata di fronte alla possibilità dell’annientamento

dell’umanità. L’America che pure aveva schierato i suoi missili atomici ai confini dell’Unione Sovietica e dei suoi paesi satelliti dell’Est, non aveva sopportato che altrettanto facesse il nemico piazzando i suoi missili a Cuba, innescando il più duro confronto con l’ultimatum per il loro ritiro dal Paese caraibico e la minaccia di premere il pulsante rosso.


L’opera di Brecht dopo una prima stesura aveva avuto altre versioni proprio in relazione con le bombe atomiche sganciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki. Responsabilità del potere e responsabilità della scienza. La scienza non può disinteressarsi di quel che il potere farà delle sue scoperte. La frenesia, l’inarrestabile impulso alla ricerca non giustifica le scelte di Galileo: la scienza per la scienza, slegata da una riflessione etica lo portano anche a sconfessare le proprie idee quando la Chiesa lo accusa di eresia. Ma Galileo è anche un uomo del dubbio, perché le certezze sono il contrario della scienza che ha bisogno di continua ricerca, di correggersi per avanzare. E infatti alla fine dell’opera afferma: “Non credo che la pratica della scienza possa andare disgiunta dal coraggio. […] Che scopo si prefigge il vostro lavoro? Io credo che la scienza non possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà che fonte di nuovi triboli per l’uomo. E quando, coll’andar del tempo avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanarsi dall’umanità”.


Questo seminar dubbi è una cosa che alla Chiesa non suona proprio bene. Trovava la cosa eretica e blasfema nel 1603 quando aveva condannato Galileo per eresia e continua a trovarla tale ora. La rappresentazione sembra ancora un’accusa al suo operato passato e presente. Fantasmi che ritornano senza che si possa più attuare una censura preventiva.


Presto l'umanità avrà le idee chiare sul luogo in cui vive, sul corpo celeste che costituisce la sua dimora. Non le basta più quello che è scritto negli antichi libri. Sì, perché, dove per mille anni aveva dominato la fede, ora domina il dubbio”, dichiara Galileo nell’opera teatrale.


La prima rappresentazione italiana della Vita di Galileo non avviene il 22 aprile come previsto dal cartellone, ma il giorno prima alle 19. Sono invitate cento persone. Amministratori, giornalisti, intellettuali sono chiamati ad esprimersi per primi.


Lo spettacolo, piacque a tanti, non a tutti, neanche tra il pubblico “amico”: non a Flaiano, Chiaromonte, al giovane Arbasino, a Franco Fortini. Troppo solenne, enfatico, non rendeva la forza della critica sociale al potere del testo di Brecht, mancava di incisività, di capacità di colpire. Ma erano comunque critiche accettabili.


Ben più pesanti quelle del fronte cattolico, con in testa il quotidiano L’Italia e Don Giussani con il giornale da lui ispirato del liceo Berchet, quello che quattro anni dopo ispirerà la denuncia dei ragazzi del giornalino La Zanzara per aver scritto di libertà sessuale e di contraccezione (vedi nel blog il 16 marzo): “Ma non possiamo non denunciare l’intenzione con cui, al di là della interpretazione dei fatti, si mira a gettare discredito sulla Chiesa come istituzione e ad armare contro di essa gli animi di spettatori meno provveduti di conoscenze storiche o di senso critico, esposti a facili generalizzazioni, anche se la storia della Chiesa e la sua attuale realtà depongono in senso contrario. Quella intenzione non può essere negata perché, a denunciarla è, oltre il testo, la regia compiaciuta di sottolinearlo nelle sue parti più dure e che raggiunge la vera e propria offesa in taluni particolari o intere scene che, per essere antistoriche, non hanno giustificazione se non in quella intenzione dell’autore e del regista”. (Quotidiano cattolico L’Italia 23 aprile 1963). Il mondo cattolico era stato già allertato e preventivamente si erano svolte veglie di preghiera, sermoni e incontri. Sono sdegnati, indignati, chiedono sanzioni attraverso pressioni sul vicesindaco democristiano e su chi tiene i cordoni della borsa.

Il Piccolo Teatro con le parole dell’organizzatore Paolo Grassi aveva già spiegato tutto nell’intervista a Roberto Leydi: “Abbiamo gli occhi addosso da tutte le parti. Il Galileo sarà lo spettacolo più impegnativo di tutta la vita del Piccolo Teatro. E poi è un testo che suscita timori e apprensioni. In questi giorni sono assediato da gesuiti, cappuccini, domenicani, barnabiti che, abilmente, vogliono sapere come rappresenteremo il papa. Hanno paura che esca uno spettacolo blasfemo. È perché non hanno letto il testo di Brecht. Non c’è l’ombra di parodia, di ridicolo, di caricatura nella figura del papa, dei cardinali, dei membri del Santo Uffizio. La Chiesa è rappresentata con la massima serietà, perché a Brecht non importa proprio niente del comportamento della Chiesa del Seicento verso Galileo. La Chiesa, nel Galileo, non è un fine, è soltanto un mezzo. Uno strumento che realizza la difesa di uno stato di cose che garantisce la stabilità di un certo ordine sociale. Il problema per Brecht è un altro, molto più ampio, più vero. Il problema della libertà della scienza nel mondo contemporaneo. Anche in Russia, come in America o in Cina o in Francia. Galileo è un pretesto. Per fare la parte del papa abbiamo scelto l’attore più cattolico d’Italia, Tamberlani, che è direttore dell’Istituto per il dramma sacro.”


Tutto inutile. In gioco dietro il contenzioso sul finanziamento, sullo sfondo ci sono le elezioni parlamentari della settimana successiva, il contrasto tra le superpotenze e soprattutto la direzione che la città motore del boom italiano deve prendere.


La settimana successiva le elezioni segnano un avanzamento delle forze di sinistra, Partito Socialista e Partito Comunista; nella seduta decisiva del consiglio comunale milanese l’intervento di Ceda, figlio di uno dei fondatori del Partito Popolare, precursore della Democrazia Cristiana, attacca la messa in scena della Vita di Galileo per le parti che il mondo cattolico ritiene offensive, ma non affonda, scontentando tutti.


Il risultato: Il Piccolo Teatro vede raddoppiati i contributi ma ci vorranno vent’anni per avere una sede adeguata e un nuovo teatro.


Fantasmi si agitano ancora.


Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà che fonte di nuovi triboli per l’uomo. E quando, coll’andar del tempo avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanarsi dall’umanità”. (Galileo dal testo di Bertold Brecht)





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