GIORNO PER GIORNO 21marzo - Mississippi Goddam!
- Andrea Colombu
- 21 mar 2021
- Tempo di lettura: 6 min
21 marzo 1964
Nina Simone: Mississippi Goddam!

Durante il suo concerto alla Carnegie Hall di New York Nina Simone esegue Mississippi Goddam di fronte ad un pubblico prevalentemente bianco.
La sala è gremita, Nina Simone ha già dato il tono al concerto, inserendo in scaletta la sua particolare interpretazione in chiave nera di Pirate Jenny da L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill e la canzone Go Limp che ha per protagonista una ragazza impegnata nelle marce per i diritti civili.

A chiusura del concerto, Nina presenta la canzone così: ‘Il titolo di questa canzone è Mississippi Goddam (Dannato Mississippi) e dico sul serio!’. Sulle note di una melodia da vaudeville, ritmata e incalzante, attacca le prime strofe: “L’Alabama mi ha fatto infuriare, il Tennessee mi ha fatto perdere il sonno e tutti sanno del dannato Mississippi”. Senza preamboli né indugi Nina Simone va esplicitamente dritta al punto, agli eventi che l’hanno portata a comporre questa canzone, che costituisce il suo ingresso ufficiale nell’impegno attivo e intransigente per i diritti degli afroamericani.
Il 12 giugno 1963 Medgar Evers, attivista e primo segretario nazionale della NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), viene sparato sul vialetto della sua casa alla periferia di Jackson in Mississippi poche ore dopo che alla televisione nazionale è stato trasmesso il discorso per i diritti civili di John F.Kennedy. Trasportato all’ospedale, ad Evers viene inizialmente rifiutata l’ammissione e, una volta ammesso, morirà quasi subito.
Il 28 agosto, al culmine della Marcia su Washington, di fronte ai circa duecentocinquantamila partecipanti, Martin Luther King pronuncia il suo celeberrimo ‘I have a dream’ e, dopo nemmeno un mese, il 15 settembre quattro ragazzine afroamericane rimangono uccise in un attentato dinamitardo ad una chiesa battista a Birmingham, in Alabama.

Fino a questi eventi, il coinvolgimento di Nina Simone con la causa dei diritti dei neri consisteva prevalentemente nel tenere concerti a supporto delle raccolte di fondi per i movimenti. Ma la frequentazione di intellettuali del calibro di Langston Hughes, Lorraine Hansberry, Leroy Jones, James Baldwin e con l’artista Miriam Makeba, che comprendevano il ruolo catalizzatore che la sua fama e la sua presenza artistica erano in grado di esercitare, la stavano gradualmente convincendo della necessità di dedicarsi alla causa in maniera più diretta.

Nata Eunice Wymon nel 1933 a Tyron, nella Carolina del Nord, fin da piccolissima Nina Simone aveva coltivato con disciplina e fervore lo studio del pianoforte classico, grazie ad una raccolta di fondi nella comunità che le aveva permesso di frequentare lezioni private da un’insegnante bianca. Negli anni successivi arriverà a frequentare un anno preparatorio alla Juilliard School di New York per sostenere l’esame di ammissione al Curtis Institute of Music, il prestigioso conservatorio di Philadelphia. Quando, nel 1951, viene respinta agli esami, la giovane Eunice – che aveva dedicato tutta se stessa al sogno di diventare la prima pianista classica nera – si vede costretta a “ripiegare” sui club, dove poteva comunque esibirsi al piano e dove venne ben presto

quasi costretta a cantare col nome d’arte Nina Simone. Quando nel 1959 registra la sua versione di I loves you Porgy di Gerswhin in brevissimo tempo raggiunge incredibile successo, grazie al suo virtuosismo col pianoforte, alla sua voce ed alla sua potente presenza scenica. Trasferitasi a New York, entra nella cerchia dell’élite intellettuale afro-americana ed inizia a prendere piena coscienza non solo del problema razziale ma anche del suo dovere di agire a riguardo. Ricordando in particolare il ruolo che ebbe Lorraine Hansberry in questa presa di coscienza, Nina Simone dirà: “mi fece andare oltre me stessa e mi permise di vedere la prospettiva allargata”. Nina Simone inizia a vedere al di là del sogno infranto di essere una pianista classica, si sente investita del dovere morale di agire con gli strumenti a sua disposizione: la sua arte, la sua musica.
Gli eventi del 1963 portano al punto di ebollizione lo sdegno e la rabbia di Nina Simone. Racconterà che subito dopo aver sentito la notizia della bomba di Birmingham corse in camera sua e cercò di costruirsi una pistola, solo per rendersi conto di non essere in grado e fu allora che decise di comporre, in un’oretta circa, Mississippi Goddam.

Fin dall’imprecazione del titolo, allora censurabile e in varie occasioni censurata, e con quel ritmo apparentemente allegro la canzone tradisce un’incontenibile urgenza, chiarificata dal tono diretto dei primi versi, che citano i luoghi degli eventi specifici per poi chiedere in maniera retorica: “non vedete, non sentite? È nell’aria, non posso sopportare più la pressione, qualcuno dica una preghiera!” L’appello è diretto, ineludibile, esasperato. Mississippi Goddam è un urlo di protesta che si allontana bruscamente dal modello delle canzoni di protesta utilizzate dai movimenti per i diritti civili fino ad allora, coi loro appelli all’armonia, all’integrazione e alla pacificazione, coi loro inviti alla pazienza e alla perseveranza.
“This is a show tune but the show hasn’t been written for it yet’ (questa e’ una canzone per un musical che non è ancora stato scritto)”: Nina Simone avvisa il suo pubblico alla Carnegie Hall che tempi sono cambiati, che l’America sia pronta o no. Poi la melodia in la maggiore passa alla relativa minore, che musicalmente equivale al passaggio da un tono allegro e felice ad uno malinconico, sinistro e Nina Simone passa alla vivida enumerazione delle brutture sofferte dai neri come innocenti fuggitivi inseguiti dai cani segugio o giovanissimi studenti messi in prigione, costretti a vivere come se ogni giorno fosse l’ultimo. Ma la disperazione si trasforma in rabbia incontenibile, perché come recita la canzone: “io e la mia gente ne abbiamo abbastanza”.

Dopo quasi cento anni dalla proclamazione del quattordicesimo emendamento che sanciva il diritto costituzionale alla cittadinanza per i neri e la sua protezione giuridica, ogni passaggio verso la reale uguaglianza era stato seguito da reazioni violente, le leggi segregazioniste di Jim Crow, i linciaggi, la privazione di uguali opportunità. E ancora nel 1963, al discorso di Kennedy sui diritti civili fa seguito l’omicidio di Medgar Evers e dopo la marcia su Washington le bombe di Birmingham. Mentre il governo Kennedy chiede pazienza e gradualità alla comunità nera nella rivendicazione dei propri diritti, mentre Martin Luther King predica la non violenza e mentre i movimenti liberali per i diritti civili cantano all’unisono We Shall Overcome, molti attivisti neri – e Nina Simone con loro – si chiedono a cosa ha portato questa strategia, che senso ha aspettare ancora, visto il ripetersi invariato della reazione violenta di gran parte dell’America bianca? Con Mississippi Goddam Nina Simone butta alle ortiche la buona educazione e assesta uno schiaffo sonoro alla retorica gradualista, a quel “go slow” che fa da controcanto corale ad ogni verso successivo nella canzone.

Durante l’esecuzione alla Carnegie Hall Nina Simone interagisce col pubblico come fosse sul piede di guerra, “giocosamente” minacciando: “pensavate che scherzassi, vero?!” Invece il vaso è colmo, traboccante di rabbia e il “go slow” diventa “too slow” ed è questo il cancro reale identificato da molti militanti, Malcom X e il giovane Stokely Carmichael in prima linea, e denunciato con una schiettezza disarmante da Mississippi Goddam. Desegregazione? troppo lenta. Partecipazione di massa? Troppo lenta. Unificazione? Troppo lenta. Letteralmente: fare le cose in maniera graduale porterà solo più tragedie. E il canto agguerrito di Nina Simone reclama senza sconti un’unica cosa: l’uguaglianza a tutti i costi, anche a scapito dell’integrazione.
Col suo linguaggio brutalmente diretto, Mississippi Goddam inaugura una nuova forma di canzone di protesta e negli anni successivi Nina Simone dà corpo potente alla voce più radicale dell’attivismo nero con canzoni del calibro di Backlash Blues, Four Women, To Be Young Gifted and Black e con le sue personali reinterpretazioni di brani come I Wish I Knew How It Would Feel to Be Free e Ain’t Got No/I Got Life dal musical Hair. Quella voce negli anni successivi si affermerà come Black Power e vedrà la formazione del Black Panther Party. Del resto l’impetuosa e intransigente Nina Simone non aveva forse composto Mississippi Goddam come surrogato musicale alla sua incapacità di costruirsi un’arma? Saranno frequenti anche le sue dichiarazioni sul palco e con la stampa in favore della violenza come reazione di autodifesa e affermazione dell’uguaglianza negata agli afroamericani. Non ebbe problemi a dichiararsi non non-violenta nemmeno quando nel 1965 conobbe Martin Luther King, in occasione della marcia di Selma a conclusione della quale eseguì proprio Mississippi Goddam.

Nina Simone aveva una personalità ingombrante, veniva descritta come difficile e caratteriale, non conosceva mezze misure, non era diplomatica né condiscendente, nemmeno col suo pubblico. La sua arte si nutriva di opposti inconciliabili: l’ambizione personale ad essere la prima pianista classica nera ma anche l’urgenza morale di farsi carico delle ingiustizie subite dal suo popolo; la costante speranza nel cambiamento imminente e il desiderio rabbioso di vendetta per un passato ed un presente ancora violentemente dolorosi. La morte precoce di Lorraine Hansberry, suo faro intellettuale, l’omicidio di Malcom X e tanti altri attivisti, la violenza razziale che ancora imperversava nella seconda metà degli anni Sessanta, le stavano togliendo fiducia e la morte di Martin Luther King assesterà il colpo finale al suo attivismo. La sua carriera musicale aveva pagato le conseguenze della sua militanza artistica: gli ingaggi diminuivano per paura che la sua musica e le sue controverse dichiarazioni alienassero non solo il pubblico bianco ma anche i neri moderati e chiunque avocasse la pacificazione. I problemi finanziari e personali si aggiunsero alla delusione per gli eventi sociali e nel 1970 Nina Simone lascerà gli Stati Uniti praticamente per sempre e con loro anche il coinvolgimento da attivista, dedicandosi in maniera discontinua ma sempre notevole ad una carriera musicale in grado di abbracciare il jazz, il blues, la canzone d’autore europea e i retaggi classici in maniera unica e originale.
Nina Simone: Mississippi Goddam
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