GIORNO PER GIORNO 20 marzo
- Andrea Colombu
- 20 mar 2021
- Tempo di lettura: 5 min
20 marzo 1976
Charles Reznikoff: L’occhio della poesia

Alla St Mark Churh reading in memoria di Charles Reznikoff , morto il 22 gennaio 1976, con Peter Orlowski, Larry Fagin, Alice Notley, Joel Hoppenhaimer , Susan Owen, Allen Ginsberg, Maureen Owen.

Una fotografia probabilmente scattata a metà anni Sessanta, mostra Charles Reznikoff in una lettura pubblica di una poesia di William Carlos Williams in un pullman a Brooklin. Si tratta di un passaggio di testimone, o una testimonianza di passaggio tra diverse generazioni di poeti accomunati più che da un’estetica, da un modo di vivere, comunicare e condividere arte e cultura. Un rinnovamento innescato già nei primi decenni del Novecento e recuperato dalla Beat Generation e proseguito sino ai giorni nostri con la riproposizione dei suoi temi e delle storie in performance e nella musica della noise, postrock band dei Joan d’Arc e nelle rock ballad di Mitski.
La sua era una poesia semplice, fatta di osservazione, tra le persone, scritta per parlare dell'ingiustizia sociale e della disuguaglianza, o come sottolineava il docente e critico americano Rocco Marinaccio nel suo saggio “For Labor who Will Sing?": Objectivist Poetry and Proletarian Literature: “Reznikoff ha passato una vita a scrivere di diseredati, descrivendo in modo incisivo le condizioni della classe operaia, delle donne e dei bambini, delle minoranze razziali ed etniche, degli immigrati e degli artisti, molti dei quali vivono in miserabile povertà".
Charles Reznikoff era nato nel 1894 a Brooklyn, da una famiglia di ebrei russi emigrati a causa dei pogrom e delle persecuzioni. Per un periodo aveva lavorato nell’azienda familiare come venditore di cappelli e poi per una casa editrice di studi giudiziari, per cui doveva riassumere casi legali. Lavoro che contribuì a spingerlo a scrivere della povera gente Ogni giorno si immergeva nella vita cittadina, camminando per chilometri e chilometri, o girando coi mezzi pubblici, osservando la vita quotidiana delle persone, la sofferenza e le ingiustizie e le riportava in poesia senza scadere in sentimentalismi.

Negli anni Trenta si era unito ad altri poeti tra cui Luis Zukofsky e George Oppen, dal forte impegno sociale, che chiamarono “oggettivista” la propria elaborazione poetica e culturale. Un’idea rubata alla filosofia e precisata nell’azione. La poesia restituiva valore, significato e forza ai fatti, alle cose, agli accadimenti. La poesia si faceva oggetto, strumento di osservazione e arma capace di trarre dall'esperienza di ogni giorno occasioni di rifiuto di sottomissione a una realtà non immutabile, segreti momenti di felicità e poesia.
Dopo aver fatto tutto il giorno il lavoro con cui mi guadagnavo da vivere, ero stanco. Ora il mio lavoro ha fatto perdere un altro giorno, pensavo, ma iniziavo lentamente e lentamente la mia forza tornava. Certamente la marea viene due volte al giorno.
Lo scrittore Paul Auster vedeva in Charles Reznikoff: "il poeta come vagabondo solitario, come uomo in mezzo alla folla, come scriba senza volto,(…) un poeta dell'occhio, ogni espressione poetica è un'emanazione dell'occhio, una trascrizione del visibile nel codice dell'essere bruto e non cifrato. Il che significa che l'atto di scrivere non è tanto un ordinamento del reale quanto una sua scoperta. "
Lo sguardo del poeta parte dalla zona più povera di Brooklin, quella abitata da immigrati ebrei russi e dell’est europeo, da italiani e irlandesi e poi da latinos e afroamericani. Scrive di semplicità quotidiana, del mondo di cui si sente parte.
Sul ferry le centinaia e centinaia di persone che attraversano, tornando
a casa, sono per me più curiose di quanto tu possa supporre,
E tu che attraverserai da costa a costa per anni ancora sei più vicino a
me, e più presente nei miei pensieri, di quanto tu possa supporre.

Il critico Milton Hindus sottolinea questa qualità visiva del lavoro di Reznikoff, il suo "occhio per le somiglianze", che poteva fare di una scena banale una metafora indimenticabile. Le sue poesie sono brevi, a volte brevissime, istantanee, fulminanti. Oppure appartengono al genere opposto, poema in continua espansione come i due volumi di Testimony, basati sul suo lavoro di decenni di trascrizioni di atti giudiziari, delitti, incidenti sul lavoro, violenze domestiche, miseria, ma dove lo sforzo è quello di spersonalizzarsi e restituire ogni singola voce dei protagonisti, bianchi poveri delle aree rurali, immigrati europei, operai, afroamericani, latinos. Un alternarsi di scene super-intime, inquietanti e violente in tutto il libro e iper-vivide e minimaliste allo stesso tempo. Così in Holocaust,del 1975 dove sono gli atti processuali contro i nazisti ad aiutarlo a ricostruire alcune vite e storie dei milioni di ebrei assassinati.
Un suo celebre testo The Deum riassume la sua poetica, con la semplicità della forma e l’aderenza alla visione della realtà, la sua scelta esistenziale, la sua rinuncia totale alla competizione:
Non canto
per le vittorie, non ne ho nessuna,
ma per la comune luce del sole,
la brezza,
la grandezza della primavera.
Non per la vittoria
ma per il lavoro di ogni giorno
fatto così come posso
non per sedere sul palco
ma alla tavola comune.

A due mesi dalla morte, il 20 marzo 1976, a rendergli omaggio, nel tempio della poesia di New York, St. Mark’s Church, sede decennale di reading e attività culturali, ci sono Allen Ginsberg, Ron Padgett, Joel Oppenheimer, Anne Waldman, Armand Schwerner, Charles North e molti altri. Allen Ginsberg annota i suoi "Suggerimenti per le letture in Charles Reznikoff ... secondo durezza, oggettività, vividezza - epifanie selezionate"
Le poesie che hanno selezionato rappresentano l'incredibile gamma di scritti di Reznikoff, da quelle brevi a estratti di poesie di libri sull'Olocausto ebraico. Leggono i suoi versi, ne parlano con l’affetto dovuto a uno che ha aperto una strada, che preferendo la riservatezza, non era mai stato un poeta di successo. Solo un maestro. Un degno memoriale per un poeta americano per eccellenza del XX secolo, la cui "luminosità si riduce a stelle".

Estetica dell’umile, etica dell’umiltà. Storie di una amara quotidianità riprese in una rivisitazione del poema Testimony dalla indie noise band americana Joan d’Arc in un lavoro che inserisce performance sonore, azione teatrale, alternarsi di volume del suono e di oggetti di scena con l’obiettivo di riprodurre la genialità di Reznikoff che scriveva “catturando voci lasciate fuori dai libri di storia”. L’album del 2013 è Testimonium Songs.
E’ dell’anno successivo, 2014, una coinvolgente rock ballad delle cantautrice nippo americana, Mitski, Texas Reznikoff compreso nell’album Bury Me at Makeout Creek riconoscendo Reznikoff come un'influenza sulla sua musica e elogiando la sua precisione poetica e la capacità di "creare un'immagine sorprendente nel cervello delle persone"

“Con una canzone senti quelle parole una volta e devi ottenere l'immagine subito, quindi è così che Reznikoff mi ha davvero colpito - anche se non è un paroliere, è un poeta. Il suo lavoro è così immediato.”
“(…) ero ad Austin, in Texas, ed ero semplicemente seduta sul vialetto o qualcosa del genere, e poi il verso ‘le ombre degli alberi giacciono nelle pozze nere nei prati’, come se l'avessi effettivamente visto di fronte di me e subito mi si affaccia il ricordo di Reznikoff. Quel verso è in realtà una poesia di Reznikoff e l'ho citata nei testi.”
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