GIORNO PER GIORNO 2 marzo
- Andrea Colombu
- 2 mar 2021
- Tempo di lettura: 9 min
Storie della Beat Generation, della Controcultura e altro
2 marzo 1960
Milano, via Cappuccio 19, 8 del mattino: Fernanda Pivano apre la porta di casa al poeta Gregory Corso, arrivato in Italia

Il poeta americano di origine italiana aveva conosciuto Fernanda Pivano attraverso uno scambio di lettere nel periodo in cui era stato rinchiuso in prigione. Le aveva parlato di sé, della scoperta della poesia e della letteratura, delle sue amicizie. Gregory Corso, dopo i periodi in riformatorio e poi in carcere, era ritornato più volte su quelle esperienze: “Mi capitò in gioventù, a 12 anni in riformatorio ... ci rimasi cinque mesi. Niente aria, niente latte, e la maggioranza erano negri e odiavano i bianchi approfittando terribilmente di me... ed io ero veramente come un angelo allora perché quando mi picchiavano e mi buttavano piscia nella cella, il giorno dopo venivo fuori e gli raccontavo il mio bel sogno di una ragazza che volava e scendeva davanti a un pozzo profondo e si metteva a guardare. Vi dico questo perché penso che sia la prima volta che abbia mai sentito l'orrore di quel Gregory dodicenne. Ora voglio combatterlo, allora non potevo, perché ero sincero e poi, in qualche modo, per strada, ho perso quel Gregory”.
“..quando dicevo a mio padre che desideravo moltissimo scrivere, lui diceva che non c'è posto in questo mondo per uno "scrittore poeta… Ma la prigione era diversa, lì c'era posto per uno ‘scrittore poeta”

Solo due giorni prima il 26 febbraio, Fernanda Pivano aveva ricevuto l’incarico di scrivere la prefazione a I sotterranei di Kerouac, la cui traduzione, affidata a Luciano Bianciardi sarebbe uscita anonima, per le troppe manomissioni editoriali, e ora si trovava improvvisamente a dover star dietro all’imprevedibile Gregory Corso, spesso dividendo il tempo delle cene, delle visite e delle passeggiate anche con il trombettista Chet Baker: “Facevo fatica ad abituarmi […] ad uno Stile di Vita immerso in un limbo fuori del tempo e dello spazio. L’arrivo di Gregory Corso a Milano fu il primo contatto fisico con la cultura della generazione cosiddetta beat (della generazione beata alla Kerouac e battuta alla Gregory Corso). Fu anche la prima volta che l’ingresso di un poeta nella nostra casa trasformò di colpo tutti i ritmi, sovvertì le distanze e le relazioni, vanificò i miti familiari quotidiani, dissacrò parole e frasi che da sempre ci erano sembrate accettabili e funzionali. Si cominciò a parlare a strappi, a salti, si cominciò a litigare furiosamente e ad abbracciarsi teneramente. Alle dieci di mattina si tirarono le persiane e si accesero le luci e per giorni non si guardarono più gli orologi e si cominciò a dondolare in uno spazio nel quale non c’era niente se non noi stessi, il nostro modo di sederci vicini o a distanza, le nostre voci contente o assonnate, e nient’altro: voglio dire nel quale si era raggiunto uno stato totale di comunicazione interna del piccolo gruppo che eravamo. Questa non fu soltanto una piccola avventura, non fu un’avventura da boy-scout o da campeggiatori: fu un’esperienza che per la prima volta ci riversò addosso il problema del rapporto sostenibile o insostenibile tra quello che normalmente si chiama una cultura e il modo di vivere, o come si direbbe oggi il rapporto tra il software e l’hardware. Eravamo abituati a poeti intellettuali borghesi che arrivavano con più o meno bei vestiti e cravatte e si sedevano sui divani chiacchierando più o meno piacevolmente, più o meno presuntuosi, più o meno intelligenti, più o meno colti, ma non erano poi tanto diversi l’uno dall’altro e comunque loro stavano sempre di là e noi stavamo sempre di qua: o si andava di là, con le parole, con gli orari, coi vestiti, coi cibi, con le pause, coi riposi, con le musiche, insomma con tutto, oppure non c’era maniera di comunicare e neanche di sopravvivere”.

Serate alcoliche e musica suonata sino a notte freneticamente al piano da Chet Baker fino a sfinirsi . “giornate fuori del tempo e dello spazio, le cene con Gregory e Chet, le tende sempre tirate per evitare il fastidio della luce del giorno, pranzi alle tre di notte e cene alle quattro del pomeriggio, camerieri sbalorditi a sentir chiedere pastasciutta alle sette del mattino, pianoforte picchiato a tutte le ore, caro vecchissimo Pleyel abituato al Bach della mia infanzia e alla mia musica a modo, devastato per sempre..” Ricorda Nanda.
Gregory Corso aveva pubblicato il suo primo libro di poesia nel 1955 e poi Gasoline, uscito nel 1958 con l’introduzione di Allen Ginsberg per le edizioni di City Lights Books di Lawrence Ferlinghetti, entrambi conosciuti assieme a Jack Kerouac, all’uscita di prigione nel 1950.
“La mia prima poesia me la ricordo solo vagamente, non ne ho neanche una copia. La persi con centinaia di altre poesie, nessuna delle quali riesco a ricordare, in una stazione di autobus, a Miami, Florida. Me la tenevo in una valigia, era tutto quello che portavo nei miei frequenti viaggi, unica grande valigia (….) L’unica accortezza che ho avuto, e forse neanche troppo,è sempre stata quella di cercare di non perdere mai il poeta. Finché avevo il poeta, avevo anche le poesie”
“Se non c'è mai stata una casa dove andare c'è sempre stata una casa dove non andare. Ricordo bene di me bambino scappato, dormire nelle stazioni della metropolitana che raggiungeva sempre la casa da cui scappavo. Era il dolore più amaro ah lo era”
La vita regolare era una cosa impensabile per lui, anche nei giorni dei suoi giri in Italia e in Europa. Come ricorda Fernanda Pivano: “Insolente al di là del sopportabile e strafottente nella più assoluta imprevedibilità. Qualunque cosa abbia detto o scritto ha sempre rivelato il dono di non dire mai una sciocchezza.”
O, come scriverà lo stesso Corso due anni dopo, alla vigilia de suo trentaduesimo compleanno: "32 anni; vista tutta l'Europa, incontrate persone a milioni; / sono stato grande per alcuni, tremendo per altri. (...) 32 anni e quattro duri veri buffi tristi brutti stupendi libri di poesia / - il mondo mi deve un milione di dollari. / Penso di aver vissuto 32 anni piuttosto strambi".
“IL POTERE è stare in piedi all'angolo di una strada senza aspettare NESSUNO."
Gregory Corso
2 marzo 1970
Isla Vista (Santa Barbara, California) a una settimana dalla rivolta popolare e la distruzione della Bank of America tutta la zona e l’Università vicina sono sotto il controllo di polizia e presidiate dalla Guardia Nazionale, mentre si prepara la nuova mobilitazione con Jerry Rubin per martedì 3

Isla Vista a una ventina di Km da Santa Barbara è un villaggio, a ridosso dell’università, di 11.000 abitanti, di cui 9.000 studenti a cui di recente si sono aggiunti un migliaio di giovani provenienti da altre parti della California e degli States. Uno strano ghetto dove gli affitti sembrano più indirizzati verso il turismo che secondo le disponibilità economiche degli studenti. Un’amministrazione indipendente dall’università e governata inspiegabilmente da troppe figure giuridiche e istituzionali.
Da tempo la tensione era cresciuta anche nel campus di Santa Barbara. La mobilitazione contro la guerra si era intrecciata, “a gennaio, con una dimostrazione sul molo di Santa Barbara nel primo anniversario dello scoppio nel 1969 di un pozzo petrolifero offshore. Le spiagge locali sono ancora macchiate da orribili cumuli di petrolio e catrame, e almeno un pozzo perde ancora nonostante tutta la retorica di Sacramento e Washington)”, come racconta uno studente, che spiega l’insieme dei motivi della montante “protesta nel campus correlata a una lite tra il dottor William Allen, un insegnante di antropologia, e amministratori universitari e dirigenti accademici, che non avevano rinnovato il suo contratto”. Più della metà del corpo studentesco aveva firmato petizioni per il docente rimosso dall’incarico perché schierato dalla parte delle richieste studentesche di maggiore autonomia, di agibilità e di coinvolgimento nell’indirizzo dei corsi e dei programmi. La direzione accademica aveva risposto con intimidazioni, l’intervento della polizia e 20 denunce. Il 25 febbraio l’assemblea studentesca, affollatissima alla presenza di uno degli avvocati difensori degli imputati dell’assedio pacifista al congresso democratico a Chicago dell’anno precedente, aveva visto la presenza della polizia in tenuta antisommossa, il corteo studentesco interrotto e un giovane arrestato.
"La gente aveva paura. Potevi vedere la polizia sparare lacrimogeni. Li ho visti picchiare gli studenti. Probabilmente pensavano di dare la caccia a qualcuno, ma avrebbero semplicemente sfondato la porta di un condominio dove vivevano gli studenti, sarebbero entrati nell'appartamento e avrebbero iniziato a picchiare le persone che erano lì. La situazione era estremamente tesa” ricorda uno dei presenti .“Anarchia nelle strade” intitoleranno i media a commento degli scontri che per tre giorni si succederanno.
Il 25 febbraio 1970, una folla di giovani manifestanti in risposta all’attacco subito ha dilagato dentro e fuori dall’università, scatenando una gioiosa e imprevedibile rivolta collettiva. L’edificio della Bank of America viene attaccato una prima volta nel pomeriggio, e una nuova irridente insegna prende in giro lo schieramento dei “pig”, degli sbirri.

Per gli studenti e altri manifestanti, la banca non solo era un simbolo del capitalismo e "dell'establishment" ma era stata riconosciuta colpevole di aver concesso prestiti illegali ai paesi sudafricani e sostenendo indirettamente l'apartheid contro i regolamenti governativi. Soldi sporchi a sorreggere il regime razzista della minoranza bianca al potere di Pretoria. Dopo la mezzanotte viene distrutta.

Le autorità chiedono l’intervento di almeno 700 poliziotti. Con loro arrivano gli elicotteri e il coprifuoco notturno violato festosamente con dei balli in strada e in spiaggia difesi sino all’ultima brace.

Il governatore Ronald Reagan, futuro presidente americano, aveva già definito “ viziati e drogati”gli studenti californiani che lo avevano contestato quando si era presentato all’università col suo pacchetto di”riforme” che prevedevano l’abolizione della gratuità degli studi, dei sussidi e delle agevolazioni. La sua richiesta immediata era diventata l’intervento dell’esercito,della Guardia Nazionale,con la dichiarazione dello stato di emergenza.

La stampa non solo della California,ma di tutti gli Stati Uniti è rimasta spiazzata dagli eventi di Isla Vista. Eppure nelle stesse giornate si contano a decine le mobilitazioni nelle università, i cortei e le occupazioni. Compaiono ormai solo trafiletti veloci come nel caso dell'Holyoke College di South Hadley, , Massachusetts che dal 27 febbraio è stato occupato nella sua totalità, compresi gli uffici amministrativi dalle studentesse guidate dai collettivi di attiviste afroamericane. L’incapacità di comprendere la rivolta di Isla Vista è ben espressa nel New York Times “ Le battaglie di Isla Vista non rappresentavano solo un crescente divario generazionale e una polarizzazione politica. Questa è una frammentazione sociale, una completa disintegrazione di tutti i sistemi di pensiero e di ordine che di solito hanno funzionato nella storia della nazione. Isla Vista, un mezzo miglio quadrato senza personalità giuridica piena di residenze studentesche appena ad ovest del campus, non è semplicemente la scena di un altro "disturbo studentesco"
Agli scontri partecipano tutti e non è solo uno sfogo generazionale visto che partecipano e vengono fermati anche genitori degli studenti, visto che si risponde ai lacrimogeni e alle cariche tirando scarti di frutta o roba sottratta ai supermercati, visto che persino un poliziotto viene visto al secondo giorno di assedio togliersi l’armamentario in dotazione per tirar fuori da una tasca una fionda e inventarsi cecchino di un gioco Bravi (loro) contro Cattivi.
La stampa trova disarmanti le risposte degli intervistati. “Perché hai tirato una molotov contro quella vetrina?”, “Perché era là”. Un docente ha lamentato che alle sue parole gli studenti gli si sono avvicinati così tanto da soffiargli addosso il fumo delle canne di marijuana che una decina di loro aveva preso a fumare. La stessa direzione accademica continua a ripetere “Noi volevamo dialogare, ma quelli ci interrompevano” E se gli si chiedeva ragione per non aver preso in alcuna considerazione le richieste degli studenti e aver chiamato la polizia parevano costernati nel dire “Sì, ma loro poi hanno tirato pietre alle vetrate”. Un po’ come il presidente Nixon che sottoponeva a continui bombardamenti il Vietnam e non capiva come mai quei contadini senza nessuna istruzione militare e che il Napalm avrebbe dovuto aver distrutto continuavano a uscire dalle risaie e tendere agguati ai soldati americani dispiegati sul terreno.
La preoccupazione per il potere non è costituita dai danni che gli scontri hanno provocato, i 400.000 dollari di danno subiti dalla Bank of America: in gioco ci sono i finanziamenti statali e quelli delle industrie, che come si sa, non arrivano mai in cambio di niente. E che ricerche per conto delle industrie, comprese quelle belliche, potrebbero fare le università californiane? Visto che tutte le sedi sono in rivolta contemporaneamente e si sono viste annullare in un sol colpo una prima tranche di 246 milioni di dollari di finanziamenti?
Nessuno ha capito che quello che chiedono gli studenti e i giovani è proprio questo, il rovesciamento del dominio delle merci sulla vita, la fine di ogni guerra e dell’industria bellica, del perpetuarsi dei meccanismi di discriminazione e stratificazione sociale.
Ancora sotto il coprifuoco e con l’esercito schierato contro gli studenti e la popolazione, lunedì 2 marzo si fanno le previsioni per la giornata successiva. Gli studenti hanno invitato a parlare Jerry Rubin, uno che il potere considera tra i sette leader di tutta l’America antagonista. Incapace di concepire che i movimenti possano non avere leader ma tante teste pensanti, le autorità hanno fatto sapere che ne impediranno l’arrivo, mentre preparano una delle più tremende vendette repressive che si scontrerà ancora nei mesi a venire con la mobilitazione studentesca.
Nel blog bizarre incontreremo ancora i ribelli di Isla Vista, in aprile e giugno. Per ora un’ultima citazione. Mesi dopo, quando al posto della banca sorgerà un altro edificio uno dei manifestanti di febbraio dirà con soddisfazione:“ C'è molto legno nel nuovo", mentre di fronte alla repressione un altro scriverà “Se commetti l'errore di prendere le cose troppo sul serio, ti sei perso, perché la situazione è troppo insensata per consentire qualsiasi tentativo razionale di affrontarla. Quello che ti rimane è una specie di spiacevole studio di umorismo nero. "
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