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GIORNO PER GIORNO 2 maggio - La crociata dei bambini alla conquista della libertà

2 maggio 1963

La crociata dei bambini alla conquista della libertà

Le strade di Birmingham (Alabama) vengono invase dal pacifico corteo di studenti afroamericani dagli 8 ai 18 anni che sfilano intonando canti di libertà contro la segregazione. Il loro arresto e la violenta risposta delle forze dell’ordine nei giorni successivi vengono esposte al mondo. E l’America non potrà più far finta di non sapere.



Quando Martin Luther King era arrivato a Birmingham nell’aprile precedente, le lotte per i diritti civili degli afroamericani avevano ottenuto importanti vittorie legali, prima fra tutte la sentenza del 1954 con cui la corte suprema stabiliva il diritto degli studenti neri a frequentare qualsiasi scuola pubblica avessero scelto. Il diritto alle pari opportunità nell’istruzione, nel lavoro, nell’accesso ai pubblici esercizi e servizi era stato sancito sulla carta ma veniva regolarmente disatteso specialmente negli stati del Sud, dove le leggi di Jim Crow, statali e locali, continuavano a legalizzare la discriminazione razziale sotto la falsa premessa del ‘separati ma uguali’. E non c’era

città che praticasse la segregazione con lo stesso zelo di Birmingham: le scuole per i neri non ricevevano gli stessi fondi di quelle per i bianchi, certe posizioni lavorative escludevano i neri, i negozi recavano cartelli ‘solo per bianchi’ o ‘solo per neri’, e il calendario delle fiere e dei mercati all’aperto prevedeva specifici ‘colored days’, i giorni in cui alla popolazione afroamericana era consentito di andarci. Ogni tentativo di contravvenire a queste direttive locali e di manifestare contro la loro applicazione incontrava reazioni violente non solo da parte del fiorente Ku Klux Klan della regione ma anche delle forze dell’ordine, che non solo non perseguivano la violenza dei bianchi contro i neri ma che utilizzavano mezzi particolarmente brutali durante le manifestazioni di protesta e in prigione, contro chi veniva arrestato per aver osato protestare. Birmingham divenne nota come ‘la Johannesburg d’America’ o ‘Bombingham’, per la frequenza con cui attentati dinamitardi colpivano la comunità nera.



Birmingham era dunque la meta ideale per esporre all’America il perdurare delle pratiche razziste in tutta la sua ingiustizia e il suo orrore. Insieme al reverendo Frank Shouttleswork della Southern Leadership Conference (SCLC) Martin Luther King aveva dato l’avvio a Project C, la campagna di Birmingham in cui la C del progetto stava per ‘confrontation’ (confronto aperto). Con una pratica ormai consolidata in altre città del Sud, i cittadini afroamericani di Birmingham erano chiamati a forme di disobbedienza civile come marce, sit-in e boicottaggi. Il target specifico di Project C erano le attività commerciali della città, con i manifestanti che rifiutavano di servirsi nei negozi al cui ingresso erano esposti cartelli razzisti e che marciavano per le vie commerciali intonando canzoni di protesta e libertà. Le manifestazioni finivano regolarmente con arresti e con lunghe detenzioni, dato che le cauzioni venivano fissate a cifre proibitive. Il 12 aprile MLK viene arrestato e portato in prigione. L’arresto di Martin Luther King sembra assestare un duro colpo alla

campagna di Birmingham, già minata dall’insufficiente partecipazione di una comunità spaventata all’idea di perdere il lavoro, finire in prigione o – peggio ancora – subire la violenza incontenibile e impunita dei suprematisti bianchi. La stampa sembra dare visibilità alla protesta solo in occasione degli arresti o di qualche fatto eclatante. Così, mentre dalla prigione King riflette sulla necessità di “creare situazioni di crisi, far precipitare la violenza bianca nascosta nel sistema, renderla palese – davanti alle macchine fotografiche e alle telecamere del mondo” perché “Solo da crisi di questo tipo possono nascere discussioni serie, e quindi soluzioni ai nostri problemi”, il giovane attivista della SCLC James Bevel decide di reclutare i giovanissimi abitanti neri di Birmingham per portare avanti le azioni di protesta. Prima coinvolge studenti carismatici, come membri dei team sportivi e cheerleaders, e tramite loro sensibilizza gli studenti delle scuole medie e superiori e persino bambini più piccoli. Contro le iniziali resistenze dello stesso Martin Luther King, restio ad esporre i bambini agli arresti e alle possibili violenze, Bevel sapeva che a differenza degli adulti i bambini non avevano paura di perdere il lavoro, e che dove i genitori vedevano rischio i giovani riuscivano a vedere la speranza di un futuro giusto.



Istruiti sulle pratiche non-violente e sui rischi, il 2 maggio – il D day, come era stata chiamata la data stabilita – gli studenti di Birmingham saltarono la scuola per radunarsi alla chiesa battista in 16th Street e poi dirigersi, in ordine e cantando, in parte verso gli uffici del sindaco e in parte verso il quartiere dei negozi in centro. Bambini e ragazzi avevano disobbedito ai genitori, che tremavano all’idea di pensarli arrestati, e avevano abbracciato la causa della protesta, gli spazzolini da denti appresso nella consapevolezza di poter passare la notte in prigione. Erano l’esercito di ‘angelici piantagrane’ che il leader per i diritti civili Bayard Rustin auspicava in ogni comunità. Nonostante la marcia si fosse svolta in maniera tranquilla, nel pomeriggio almeno un centinaio di loro venne arrestato e finì in prigione. Era quello che serviva a mettere a tacere le paure degli adulti e a scatenare la loro rabbia. Nei giorni seguenti la protesta assunse dimensioni e risultati inimmaginabili.



La mattina del 3 maggio adulti e ragazzi nutrivano le fila della marcia pacifica, intonando canzoni e recando cartelli di protesta. I cortei bloccavano il traffico e le attività quotidiane, i commercianti erano esasperati e le forze dell’ordine incattivite dalle dimensioni della protesta. Eugene ‘Bull’ Connor, che era a capo della pubblica sicurezza ed era noto per i suoi metodi repressivi brutali e violenti, aveva istruito la polizia perché utilizzasse i cani aizzandoli contro i manifestanti inerti. Per l’occasione aveva mobilitato anche il corpo dei pompieri affinché scaricasse gli idranti sulla folla. Per quanto notoria fosse la brutalità della polizia di Birmingham, questa volta l’età delle sue vittime la rese ancora più intollerabile. Quando i cani inferociti si avventavano sui manifestanti e quando la violenza dell’acqua sparata dagli idranti scaraventava a terra o nei muri i corpi dei giovani per lasciarli pieni di lividi il fotografo Charles Moore, che negli anni precedenti aveva già fotografato gli arresti di Martin Luther King e immortalato col suo obiettivo le tappe dei Freedom Riders nel sud degli Stai Uniti, documentò tutto e consegnò alla stampa nazionale la cronaca visiva di quella violenza gratuita, ingiusta e ‘inguardabile’. Il suo servizio, 11 pagine di reportage fotografico, venne pubblicato su Life il 17 maggio: l’immagine di apertura col titolo They fight a fire that won’t go out (Combattono un fuoco che non si estingue) mostra i pompieri che puntano il violentissimo getto dell’idrante sui manifestanti atterriti.


Secondo Martin Luther King: “come una bolla purulenta che non può guarire finché rimane coperta ma va esposta in tutta la sua bruttura alla cura naturale di aria e luce così l’ingiustizia con tutte le

tensioni che la sua esposizione determina va portata alla luce della coscienza umana e all’aria dell’opinione nazionale”. Più della nota pluriennale violenza discriminatoria dell’Alabama bianco, più dei numerosi appelli e proteste contro l’immoralità della segregazione razziale, più della stessa notizia di centinaia di bambini messi in prigione, poterono le immagini catturate da Moore: dalle pagine di una delle maggiori riviste nazionali l’America guardava con orrore agli effetti del pregiudizio razziale sugli innocenti per eccellenza, i bambini. Nemmeno il presidente Kennedy poteva più temporeggiare e restare a guardare e il mese successivo, l’11 guigno, dalla televisione nazionale dichiarò: “gli eventi a Birmingham hanno accresciuto a tal punto il grido per l’uguaglianza che non c’è più città o stato che possa decidere di ignorarlo”.


E nemmeno l’alieno Andy Wharol sfuggì al fascino di quelle immagini che, cristallizzate nell’estetizzazione pop, divennero il soggetto di Race Riot per la controversa serie Disastri. Charles Moore fece causa a Warhol per l’appropriazione delle foto, che l’artista aveva utilizzato più per puri fini estetici che per convinzioni civili. Le parti raggiunsero un accordo e da allora Warhol si convinse a utilizzare solo fotografie scattate da lui stesso per i suoi lavori futuri.


Ain’t Gonna Let Nobody Turn Me Around


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