top of page

GIORNO PER GIORNO 19 giugno - Glamo(u)r-osa fantascienza a teatro

19 giugno 1973

 

Glamo(u)r-osa fantascienza a teatro

Al Royal Court Theatre Upstairs di Londra va in scena la prima del musical Rocky Horror Show, una miscela esplosiva di riferimenti ai B-movies fantascientifici e all’horror targato Hammer, di puro rock’n’roll e di glam, di disinibita ambiguità sessuale e nostalgia per l’innocenza del passato.



All’ingresso nella minuscola sala di soli 60 posti, il pubblico è accolto da tre maschere di cinema, nel classico abbigliamento in giacca rossa e pantaloni neri, che dopo aver maldestramente accompagnato i convenuti ai loro posti dichiarano in tono velatamente malizioso: “Siamo lieti che siate potuti...venire...stanotte”. Le luci rivelano una sala impolverata e in rovina, con portacenere pieni disseminati negli spazi, il pavimento macchiato e la carta da parati strappata. Le poltrone per il pubblico sono in realtà vecchie sedute di cinema, ci sono ragnatele e impalcature montate a metà tutto intorno. Non siamo più a teatro, siamo in un vecchio cinema derelitto. Quando le tre maschere vanno sul palco, scoprono un manichino coperto da un telo impolverato che si rivela una figura femminile e che intona la canzone d’apertura Science Fiction/Double Feature. Comincia lo spettacolo.



Frutto dell’immaginazione creativa di Richard O’Brian, il Rocky Horror Show mette in scena l’arrivo fortuito, in una notte di tempesta, dei casti neo-fidanzatini Brian e Janet (interpretati da Christopher Malcom e Juliet Covington) al castello in cui l’alieno scienziato pazzo Frank-N-Furter (Tim Curry), venuto dal pianeta Transexxual, Transylvania sta lavorando alla creazione del maschio perfetto, Rocky, che servirà ai suoi irrefrenabili e sconfinati appetiti sessuali. Il suo nome, oltre a Frankenstein e la ‘n’ in rock’n’roll, gioca con una nota marca di würstel e – considerando la carica sessuale del personaggio – l’assonanza non è puramente casuale. Abitano con lui il maggiordomo gobbo Riff-Raff (Patrick O’Brian) e sua sorella, la sensuale cameriera Magenta (Patricia Quinn), la groupie Columbia (Little Nell Campbell) e una serie di personaggi particolari. Angela Lansbury, che aveva assistito ad una delle repliche della prima messa in scena quella sera, sintetizza così: “un’incantevole storia tradizionale, con un ragazzo che incontra una ragazza, la perde, e poi insieme trovano un dolce travestito da Transexxual, e uno sconcertante gruppo di altri tipi bizzarri variamente assortiti, molti dei quali tra il pubblico”.



Quando, dopo l’esilarante e cabarettistico numero collettivo Time Wrap, Frank-N-Furter fa il suo ingresso in scena, comparendo ai piedi di una rampa che congiunge il fondo della sala al palco, il pubblico sobbalza: non indossa un tradizionale camice ma un corsetto, giarrettiere e calze a rete e calza stivali da donna con una zeppa vertiginosa. Sale sul palco con movenze palesemente camp, agita i riccioli neri e il volto pesantemente truccato ammicca mentre si presenta a gli attoniti Brad e Janet intonando Sweet Transvestite. Mellifluo e sfacciato, pericoloso ma attraente, Frank rivela il frutto dei suoi esperimenti, la sua creatura, Rocky (Rayner Bourton), un bellimbusto palestrato che fa il suo ingresso nel mondo come un novello Adamo, innocente ma pronto ad esplorare.



Punteggiato dagli interventi del narratore e con ritmo incalzante un rocambolesco susseguirsi di eventi porta prima in scena Eddie (interpretato da Patty O’Hagen), il rocker a cui Frank ha estratto metà del cervello per impiantarlo su Rocky, che cerca vendetta e tenta di fuggire con la groupie Columbia per essere definitivamente e atrocemente fatto fuori da Frank. Poi, nella notte Frank seduce Janet prima e Brad dopo. Janet, ormai iniziata ai piaceri erotici, a sua volta seduce Rocky, sempre più disorientato dalle vicende di un mondo che ancora non conosce. Nella notte fa il suo arrivo alla dimora anche il dottor Scott (lo stesso Patty O’Hagen), intenzionato a ritrovare il nipote Eddie. L’ormai incontrollabile delirio di Frank-N-Furter sembra avere la meglio quando, come due dei-ex-machina, Riff-Raff e Magenta irrompono vestiti in abiti spaziali e armati di pistole laser ad annientare Frank, Rocky e Columbia per liberare Brad, Janet e il dottor Scott prima di tornare al loro pianeta.



Se da un lato il Rocky Horror Show fa uso di una serie di temi tipici del teatro (il risveglio dei sensi, la perdita dell’innocenza, l’incontro col diverso, la nascita, la morte, la redenzione, la caduta di un dio terribile e imperfetto), la libera fantasia con cui li affronta era del tutto originale nel 1973. I tempi erano senz’altro maturi per la disinibita sessualità esibita sul palco, anche se nessuno si era ancora spinto fino a mettere graficamente in scena una fellatio, seppur presentata con le silhouettes come ombre dietro ad una tenda. La nudità era un taboo già caduto con precedenti spettacoli del teatro sperimentale e con l’illustre precedente di Hair, in cui avevano lavorato e si erano già conosciuti Richard O’Brian, il regista Jim Sharman e anche Tim Curry. La rivoluzione sessuale stava facendo il suo corso e l’ambiguità sessuale, il pansessualismo, l’androginia, il camp e il cross-dressing non erano una novità assoluta. Marc Bolan calcava già i palchi coi suoi abiti di velluto e lustrini e gli occhi truccati, seducendo migliaia di ragazze e donne. Ziggy Stardust era già atterrato sulla terra per “mettere in pericolo le vostre figlie...e figli” come dichiarò David Bowie in un’intervista dell’epoca.



L’inebriante e inquietante fantasia erotica contenuta nello show, pur dirompente e parzialmente ancora scandalosa, non basta a spiegare l’accoglienza entusiasta di pubblico e critica. Il successo forse deriva in ugual misura dalla sua capacità di mettere insieme e celebrare riferimenti culturali fino ad allora marginali. La canzone d’apertura è un nostalgico inno d’amore ai B-movie di fantascienza di cui Richard O’Brian era fervido ammiratore fin dalla sua adolescenza in Nuova Zelanda. La prospettiva fantascientifica gli offre un modo originale di presentare la nuova libertà sessuale: per gli alieni di Transexxual, Transylvania non è la reazione provocatoria ad una cultura bigotta e ipocrita, ma il frutto della loro naturale evoluzione, alternativa a quella trovata sulla terra. Il rock’n’roll delle origini, quello di Chuck Berry, di Buddy Holly e di Elvis Presley è un altro ingrediente fondamentale per O’Brian, che si amalgama alla perfezione col resto. La sua affinità col regista Jim Sherman aveva avuto origine quando, durante una precedente produzione di Jesus Christ Superstar, Sharman era stato l’unico ad apprezzare la sua proposta di interpretare Erode come Elvis. Ed Elvis è ovviamente presente nel personaggio di Eddie. E poi il cinema horror, quello della decadenza gotica, degli scienziati pazzi, dei perversi psicotici e della vampirica sensualità a malapena contenuta sublimato quasi all’eccesso dalla Hammer Production nella seconda metà degli anni ‘50.



In verità, le suggestioni di Richard O’Brian da sole non avrebbero creato lo spettacolo, la cui sceneggiatura finale venne redatta nel corso delle prove col contributo fondamentale non solo di Jim Sharman ma del cast e della produzione tutta, in un vero effluvio di creatività collettiva. Lo stesso O’Brian ammette che nella sua versione originaria la transessualità non era così rilevante e che fu Jim Sharman a volere per Frank-N-Furter anziché un camice il corsetto e le calze a rete che Tim Curry aveva già indossato per la messa in scena di Le cameriere di Jean Genet sotto la regia di Lindsay Kemp, a cui lo stesso abbigliamento venne chiesto in prestito dalla costumista Sue Blanc. E Curry aggiunse le movenze che aveva appena imparato da una performance di teatro kabuki. Non avremmo il personaggio di Columbia e il numero diventato di culto Time Wrap se Sharman non avesse voluto includere a tutti i costi l’artista di strada Little Nell Campbell coi sui numeri di tip tap nel cast.



Nella sua forma originaria, prima della sovrapproduzione dei suoi elementi glam in stile Broadway e delle revisioni per i grandi palchi e per il cinema, Rocky Horror Show è la felicissima combinazione di libera creatività, caso e necessità. La sala Upstairs del Royal Court Theatre, adibita alle opere sperimentali e il cui direttore seguiva il motto “qui vi concediamo il diritto di fallire”, si trovava sopra alla sala Downstairs dove venivano messe in scena opere più collaudate. Per questo il Rocky Horror Show, con la sua musica rock ad alto volume, venne scritturato a condizione di iniziare dopo le 22.30, quando lo spettacolo del Downstairs fosse terminato. Chiudendo in un orario in cui i trasporti pubblici avevano cessato le corse, non era possibile contare sullo staff del teatro per accompagnare il pubblico in sala. Con uno spettacolo ambientato in un immaginario cinema derelitto la soluzione fu che O’Brian, O’Hagen e Campbell si vestissero da maschere per inscenare l’ingresso in sala, simulando errori nell’accompagnamento e introducendo un clima caotico preparatorio a quello dello show.



E fu per fortunata coincidenza che il Rocky Horror Show ebbe nella sua notte inaugurale la divertita benedizione di Vincent Price, l’incarnazione più autorevole, riconoscibile, amabile e giustamente amata di quel cinema horror a cui lo spettacolo rende omaggio. La moglie di Price, l’attrice Coral Brown, recitava nello spettacolo al Downstairs, al termine del quale decise di andare a vedere la prima all’Upstairs. Price rise per tutto il tempo e applaudì calorosamente al suo termine. In seguito venne contattato per il ruolo del narratore nella versione cinematografica e solo precedenti impegno gli impedirono di accettare. Con una benedizione di questo calibro, il Rocky Horror Show aveva tutti i crismi per diventare il fenomeno di culto che è ancora oggi.


Video: Sweet Transvestite dal film Rocky Horror Picture Show




5 visualizzazioni
bottom of page