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GIORNO PER GIORNO 16 maggio - Last Poets, il rap prima del rap

16 maggio 1968

 

Last Poets: il rap prima del rap



Prima uscita pubblica della formazione originale dei Last Poets, combo artistico, poetico, musicale di attivisti afroamericani spoken word pre-rap.


Un gruppo poetico musicale leggendario, con storie individuali e collettive che stanno tra la storia e la leggenda. Ogni cosa che riguarda The Last Poets, anche la più vera e documentata, ha il sapore del racconto fantastico, di esagerazione ricercata, di biografia pompata o inventata: in missione per conto di Dio, rapinatori del Ku Klux Klan, renitenti alla guerra, più volte arrestati e nel mirino dell’FBI, rimatori che odiano le rime, rivoluzionari e poeti, musicisti per intuito e per necessità di comunicazione. Non c’è niente di più reale, dimostrabile e riconosciuto universalmente del loro contributo alla nascita e alla diffusione dell’Hip hop, della rima musicata, della politica che riveste di senso la rabbia degli afroamericani e li scuote dall’apatia. Prima che il rap avesse un nome, un gruppo di poeti e artisti era già pronto a essere la sostanza e il riflesso del tempo. Il 16 maggio del 1968 sarebbe stato il 43° compleanno di Malcolm X se non l’avessero ammazzato tre anni prima…


“Erano decisamente i tempi. Siamo nati il 16 maggio 1968, il giorno di Malcolm X. Avevamo a che fare con le idee di Malcolm e il suo intero concetto di autodeterminazione e nazionalismo nero. Volevamo essere la voce di tutto ciò. Questo è stato l'impulso della nostra esistenza. Non potevo davvero far mio il programma di Martin Luther King.” racconta Abiodun Oyewole, tra i fondatori del gruppo, uno capace di sfidare vocalmente sia gli oppressori, sia gli oppressi, incalzando gli uni per le politiche di sfruttamento e discriminazione e gli altri per l’arrendevolezza e l’assuefazione a subire.


“Quando arriverà la rivoluzione/alcuni di noi lo vedranno in TV/con il pollo che pende dalle nostre bocche/ saprai che è rivoluzione/perché non ci saranno pubblicità”


La scrittrice olandese Christine Otten, autrice di The Last Poets, biografia romanzata del gruppo spiega che il racconto legato al loro nome è stato "ripetuto e scritto così tante volte che era diventato un fatto", nome preso da Verso una passeggiata al sole del poeta sudafricano Willie Kgositsile, che recitava "Quando il momento si schiude nel grembo del tempo non ci saranno discorsi sull'arte. L'unica poesia che ascolterai sarà la punta di lancia imperniata nel midollo perforato del cattivo ... Quindi siamo gli ultimi poeti del mondo”. Dopo aver letto la poesia David Nelson sentì Dio sussurrargli: "'Siamo gli ultimi poeti del mondo / e le nostre parole di ritmo del respiro spirituale ...' Quel pensiero gli diede speranza. Dio era più affidabile della storia. Dio non lo dimenticherà ".


Il 16 maggio del 1968 David Nelson, Gylan Kain e Abiodun Oyewole si presentano al Markus Garvey Park assieme a un percussionista e con un atteggiamento di sfida “'are you ready niggers?” gridano per iniziare e poi attaccano con uno slogan ritmato e accompagnato dalle percussioni, una cosa presa in prestito “un canto sentito alla Howard University dove stavano cercando di sbarazzarsi del Preside, che pensavano fosse un vero zio Tom.”, racconta Oyewole, “Siamo usciti cantando quello e tutti nel parco hanno iniziato a cantarlo. Avevamo alcuni batteristi sul palco, quindi la batteria è diventata una parte naturale. Il nome del fratello si chiamava Hakim che era lassù con noi. Dopodiché, abbiamo cercato un suonatore di conga che lavorasse con noi solo per avere la voce e la batteria”. Cantano, recitano, si muovono, utilizzano con spontaneità sia le tecniche dei reading che la lezione del soul, del rhythm and blues e del funk. La tecnica dei griot, la tradizione narrativa orale africana e le rime da bisticcio carcerario, colto, duro, grezzo e popolare insieme. Diretto.


C’è la poesia politica di Carolyn Rodgers e Amiri Baraka e le suggestioni del jazz di Sun Ra, il funk di Curtis Mayfield e l’Harlem Renaissance di Langston Hughes.


Abiodun Oyewole aveva conosciuto in prigione Umar Bin Hassan, un poeta che aveva superato la dipendenza dal crack e i traumi di violenze e privazioni da bambino e anche Jalal Mansur Nuriddin, un paracadutista dell'esercito americano che aveva scelto il carcere come alternativa ai combattimenti in Vietnam. Hassan dopo l’esperienza in carcere aveva abbandonato la poesia classica per optare per versi più vicini alla realtà con l’uso di un linguaggio e una cadenza di strada. Jalal era un rimatore compulsivo, aveva imparato in carcere lo spiel, una forma di ritmo che si evolverà in rap. I tre si erano ritrovati ad Harlem dopo la prigione e Oyewole li aveva invitati a far parte dei Last Poets che ben presto conterà sette elementi, con l’arrivo di Felipe Luciano,futuro fondatore del gruppo rivoluzionario portoricano Young Lords Party, e facendosi notare per il forte impatto scenico e l’inusuale forza dei versi.


Le lotte degli afroamericani, le Pantere Nere, un intero mondo culturale, che comprende l’estetica e una linea interamente black anche nella moda, si fonde nelle loro performances. Danno uno scopo alla rabbia, scuotono le menti stanche e le persone arrese, comunicano orgoglio e amore per la comunità. Offrono rispetto a chi dà loro rispetto. Come scriveva il poeta Amiri Baraka, già noto dai primi anni ’60 col nome di Leroi Jones e autore de Il popolo del Blues “I Last Poets, sono il prototipo dei rappers, i ‘nigger kina’ che non vorresti mai incontrare”.


“Nel 1970 i Last Poets pubblicarono il loro primo album e lanciarono una bomba sui giradischi neri dell'Amerikkka Muthafuckas”, scrive il romanziere e saggista Darius James, nel suo libro That's Blaxploitation!, “Nessuno era pronto. Avevano paura della rivoluzione. Spaventato dal complesso del dio dell'uomo perché... Paura delle metropolitane. Spaventati a vicenda. Spaventati da se stessi. E spaventati da quel totem dell'adorazione onanistica: il biglietto verde amerikkkan dagli artigli d'aquila! La retorica ti ha fatto impazzire. La batteria ti ha fatto schioccare le dita. E la poesia ti ha fatto navigare sui cuscini di un raffinato high di hashish. Soprattutto, ti hanno fatto pensare e ti hanno mantenuto "corretto" a un livello rivoluzionario.”


I Last Poets, hanno un seguito incredibile, sono ospiti in televisione, partecipano a session musicali con altri musicisti, tra cui Jimi Hendrix, vengono attenzionati sia da una casa discografica con cui incidono l’album When the Revolution Comes, che dall’FBI. L’album vende tantissimo e arriva al decimo posto in classifica ma gli irrequieti membri si disperdono tra bisticci, scelte rivoluzionarie radicali, minacce giudiziarie e arresti. Felipe Luciano abbandona per formare il gruppo degli Young Lords, corrispondente portoricano delle Pantere Nere e Oyewole viene condannato a 14 anni di prigione dopo essere stato riconosciuto colpevole di rapina (ai fondi del Ku Klux Klan). Il gruppo si divide in due tronconi, continuando a suonare e a incidere ancora altri album con immutata attenzione nella comunità nera e lasciando un’indelebile eredità alla nascente musica nera rap e alla cultura Hip Hop.



A distanza di tanti anni, nel primo decennio del nuovo millennio, riformato il gruppo con Umar Bin Hassan, Abiodun Oyewole, rilegge così il passato e descrive il presente: “Con i Last Poets eravamo arrabbiati e avevamo qualcosa da dire. Ci siamo espressi con il linguaggio. Lo sparavamo proprio in faccia. Siamo stati genitori della generazione hip-hop. Non posso negarlo. Ho lavorato con molti di loro e hanno la stessa rabbia e lo capisco. All'epoca c'era un movimento con i Panthers e altre organizzazioni, che cercavano di garantire i diritti umani per la comunità. Avevamo queste linee guida e guard-rail. Questi ragazzi non hanno questi guard-rail. La rabbia sta andando in ogni modo. È autodistruttivo. L'intera seconda venuta dei Last Poets è ristabilire quei guard rail. Altrimenti, volerete tutti giù dalla scogliera e sarete morti e non c'è un vero significato qui. Amo questi ragazzi”.



“Guarda Tupac, era un genio. Le sue capacità di scrittura erano buone. Il suo lavoro è stata buono. Ha dato un'occhiata. Proprio come James Dean, se n'è andato. Ribelle senza un motivo. C'è una causa e lo sappiamo. La causa è un luogo che ci permetterà di crescere senza che questa rabbia ci divori dentro. Ha dominato la nostra esistenza invece di essere in grado di dirigerla. Sono stato in grado di controllare la mia frenesia in modo da poter insegnare e scrivere poesie. Posso lavorarci come un fabbro. Ma molti giovani non lo sanno. Non sono arrivati ​​fin qui. Potrebbero non essere ancora in grado di capire cosa sto dicendo, ma io sono lì per dare loro un'idea. Se sono disposti ad ascoltare, allora possiamo fare dei progressi”.


The Last Poets - When The Revolution Comes



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