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GIORNO PER GIORNO 13 luglio - Dopo e oltre le sbarre

13 luglio 1968

 

Attivisti della marcia contro la povertà vengono rilasciati dopo tre settimane di detenzione dalla prigione di Washington D.C.


Sono le Duecentocinquanta persone arrestate e tenute in prigione quando l’amministrazione cittadina aveva deciso di sgomberare Resurrection City, il National Mall Park occupato per quarantadue giorni da migliaia di poveri provenienti da tutti gli stati americani. Dopo venti giorni rinchiusi dietro le sbarre si uniscono agli altri attivisti che festeggiano la loro liberazione e in assemblea decidono le nuove tappe della mobilitazione promossa da Martin Luther King prima del suo assassinio.


Anche la lotta della comunità nera degli stati del Sud che si era caratterizzata dai primi anni Sessanta come azione non violenta per i Diritti civili si era andata radicalizzando, mettendo l’accento non più solo sulle discriminazioni etniche ma su quelle di classe. Discriminazione economica, povertà, disoccupazione, mancanza di alloggi e di tutela sociale erano sicuramente problemi per la maggior parte degli afroamericani e dei nativi e degli immigrati latinos, ma erano condizioni che riguardavano anche quella fetta di popolazione bianca che viveva tra povertà e precarietà e che andava ad ingrossarsi sempre più nelle zone urbane e in certi ambienti rurali.


Secondo l’Ufficio governativo di statistica del lavoro, nel 1960 in America le persone che vivevano a un livello di povertà o al di sotto della possibilità di soddisfare i bisogni essenziali erano tra i quaranta e i sessanta milioni, un numero oscillante tra i il 20 e il 33 per cento dell’intera popolazione americana. Nel 1964 il nuovo presidente Lindon B. Johnson aveva dichiarato guerra alla povertà. A distanza di tre anni la politica governativa si era rivelata più che altro una guerra ai poveri. L’escalation della guerra d’aggressione in Vietnam aveva fatto salire a livelli stellari i costi delle operazioni belliche portando a nuovi tagli all’assistenza pubblica, all’edilizia popolare, all’istruzione. La diminuzione delle tutele economiche erano andate innanzitutto a svantaggio della popolazione nera e degli immigrati di origine latina e asiatica, ma avevano colpito una fascia di popolazione bianca.


Per questo il reverendo Martin Luther King nel dicembre 1967 aveva impostato una nuova campagna nazionale contro la povertà trovando alleati nelle organizzazioni dei braccianti messicani e filippini del Texas, California e New Mexico, e nei loro leader Reyes Tijerina, Corky Gonzales, i bianchi della regione degli Appalachi, i minatori bianchi del Kentucky e della Virginia, le organizzazioni dei nativi americani e dei portoricani e la Highlander Folk School. "Crediamo che il più alto patriottismo richieda la fine della guerra e l'apertura di una guerra incruenta per la vittoria finale sul razzismo e sulla povertà", aveva dichiarato in quell’occasione il reverendo King.


Gli obiettivi della campagna di mobilitazione contro la povertà includevano un salario annuo garantito; che il governo federale si impegnasse a costruire migliaia di unità abitative a prezzi accessibili; e l’approvazione da parte del Congresso di una Carta dei diritti economici, che, tra le altre cose, avrebbe potuto creare almeno un milione di posti di lavoro nel servizio pubblico. La riflessione era andata avanti con assemblee in cui si discuteva, dopo le rivolte dell’estate del 1967, quale fosse il metodo per infliggere più danni possibili al potere, senza usare la rabbia in inutili scontri e saccheggi di beni, per lo più neanche necessari.


"Disturbare il funzionamento di una città senza distruggerla può essere più efficace di una rivolta perché può essere più duratura, costosa per la società ma non arbitrariamente distruttiva. Inoltre, è più difficile per il governo sedarla con una forza superiore. Messa così la disobbedienza civile può usare la rabbia come forza costruttiva e creativa. È inutile dire ai neri che non dovrebbero arrabbiarsi quando dovrebbero. Anzi, saranno mentalmente più sani se non sopprimono la rabbia ma la sfogano in modo costruttivo e usano la loro energia pacificamente ma con la forza per paralizzare le operazioni di una società oppressiva.” Aveva scritto Martin Luther King e il suo collaboratore Stanley Levison dopo le rivolte di Newark e di Detroit.


Mesi per organizzare delegazioni da tutti gli Stati e i fondi per reggere i costi della marcia e della formazione di un enorme villaggio autogestito davanti agli edifici del Congresso e del potere. L’assassinio il 4 aprile del leader afroamericano aveva interrotto per qualche giorno i preparativi, ma non aveva impedito che l’organizzazione andasse avanti.


Governo, Presidente e reazionari di ogni specie, si erano trovati d’accordo nell’invocare e preparare una risposta alla marcia che proprio a Washington avrebbe potutodimostrare il fallimento della politica interna e il danno che la guerra stava facendo all’intera popolazione americana. C’erano state persino richieste di mobilitare la Guardia Nazionale e di formare un presidio di ventimila militari che affrontasse quella delegazione di poveri, imbarazzante anche se si fosse presentata solo con una rappresentazione numerica ridotta.



La marcia che le foto d’Agenzia dimostrano anche numericamente imponente, aveva l’obiettivo di ostacolare il funzionamento della macchina governativa, paralizzare i palazzi del potere, disturbare il funzionamento della città con presidi, sit-in, piccole manifestazioni, azioni di boicottaggio e la creazione di ingorghi stradali, partendo da un accampamento di migliaia di persone sulla National Mall, il villaggio che avrebbero chiamato Resurrection City. I leader del movimento avevanopianificato programmi per promuovere l'impegno della comunità. Associazioni di insegnanti si erano offerti di animare attività di scambio culturale, studenti universitari avevano offerto il proprio supporto di volontariato attivo. Si incoraggiavano le persone a parlare, imparare, condividere informazioni , fare festa e cantare insieme. Il coinvolgimento era stato innescato anche dal design di Resurrection City.


Ken Jadin, uno dei quattro architetti che avevano contribuito al progetto, dice che lui e gli altri architetti avevano immaginato gruppi a forma di U di quattro tende ciascuno in modo che le persone si potessero incontrare nei loro alloggi. Ma alle persone che vivono lì "è stata data la libertà di creare lo spazio che volevano", ha detto Jadin durante l'apertura alla stampa. Ciascuno poteva organizzare il proprio spazio e proporre quello comune per partecipare meglio alla programmazione della vita del villaggio e delle azioni esterne di protesta.


Ma azioni di disturbo, infiltrazione di provocatori e spie erano state studiate come contromosse anche dal governo. Era stata dura la resistenza delle migliaia di persone accampate per un mese e mezzo. Fino al 24 giugno, con l’ultimatum per togliere l’occupazione. Nonostante la scelta non violenta e l’evacuazione notturna di Resurrection City,della maggior parte degli attivisti e delle rappresentanze dei poveri americani, gli ultimi cinquecento furono sgomberati con violenza dall’intervento di mille poliziotti, mentre in altre zone si dava loro la caccia. Come sempre in questi casi, fu la polizia a lamentarsi e a motivare la propria violenza con un presunto attacco subito da un gruppetto di qualche decina di giovani armati di pietre in una zona distante qualche chilometri. Il risultato era stato l’arresto di duecentoquaranta persone senza alcuna reale accusa., mentre un contingente di quattrocentocinquanta uomini della Guardia Nazionale presidiano la città e impongono il coprifuoco.


Giusto il tempo e il modo per cercare d’indebolire il movimento. La sera stessa del 13 luglio 1968, dopo la liberazione dal penitenziario, un’assemblea con centinaia di persone abbraccia gli attivisti rilasciati e imposta le nuove azioni per proseguire nella campagna di lotta alla povertà.

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