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GIORNO PER GIORNO 11 giugno - L'arte delle soluzioni immaginarie

11 giugno 1959

 

L’arte delle soluzioni immaginarie

Boris Vian e Jacques Prevert organizzano la cerimonia dell’”Acclamazione Solenne di sua Magnificenza Capo del Collegio della Patafisica, Barone Mollet”



Iniziamo dall’inizio, facendo un’eccezione. Iniziamo in mezzo, mezziamo dunque : ‘Patafisica non esiste se non si mette prima l’apostrofo che sta ad indicare che qualcosa gli si è tolto, ma che noi, voi, tutti sappiamo cos’è. Comunque sia, è noto, arcinoto, che la ‘Patafisica sia la scienza che si basa sulle eccezioni e che ha uno scopo assolutamente irrinunciabile: fornire soluzioni immaginarie ai problemi (della Scienza, della Tecnica, dell’Estetica, della Cucina, del Condominio, del Calcio, del Canotaggio artistico ecc…).


Fondata a sua insaputa sulle intuizioni e le opere di Alfred Jarry, il più travisato serissimo autore di teatro e creatore di Pere Ubu, l’Accademia patafisica e i suoi prodotti cartacei avevano ospitato a partire dal 1950 una fetta importante della cultura più creativa, innovativa, sperimentale, giocosa di autori scomparsi o contemporanei. Un campionario incredibile per altro interamente maschile: Eugene Ionesco, Antonin Artaud, Jacques Prevert, Raymond Queneau, Arthur Cravan, Boris Vian, Man Ray, Marcel Duchamp, Enrico Baj, René Daumal, Max Jacob, Jacques Rigaut ecc..


“La patafisica è una scienza che abbiamo inventato, perché se ne sentiva generalmente il bisogno” spiega il crudele, antipatico e meschino Ubu in Guignol. E che ce ne fosse bisogno non v’è dubbio alcuno. Soprattutto perché si tratta di una scienza basata sul dubbio, sul particolare, l’eccezione. Una scienza che irride la sicurezza, la dimostrazione univoca, la tendenza abitudinaria ad accontentarsi della superficie senza arrivare a vedere quel che si scava sotto e, detto in maniera più complicata alla Jarry:“La patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie, che accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggetti descritti per la loro virtualità.”


Scienza del possibile e dell’impossibile, scienza parallela, che in quanto parallela a un’altra retta non risulta meno retta dell’altra. E’ una scienza che dubita delle rette, va per linee sinusoidali, guarda all’ingarbugliato con l’aria estatica di chi dentro i disegni delle ali di una farfalla scorge la mappa del tesoro del pirata Flint.


Una scienza con un’ascendenza tra le pieghe delle toghe dei classici greci e latini, soprattutto quelli meno classici, quelli un po’ defilati, quelli che ci son giunti attraverso illuminanti frammenti ricomponibili a discrezione, ma anche pensatori medievali immaginifici non metafisici, sino al grande Rabelais, gorgogliante padre e nume tutelare di ogni obliquità e scorrettezza.


Come ogni vera Accademia, il Collegio Patafisico ha bisogno di Magnifici Rettori, Cerimonieri, Dignitari per garantire l’esistenza “minoritaria per vocazione” di una società di ricerche scientifiche superflue, inutili.


Tra gli Araldi più attivi nella perpetuazione della ricerca patafisica, Boris Vian forse era il più attivo, cattivo, fattivo, olfattivo, combattivo, attrattivo. Con la sua multipla personalità di scrittore, attore, regista, musicista, pittore, rappresentava la quintessenza e anche l’assenza del senso della patafisica: “È forse quello che spiega il rifiuto che manifestiamo di ciò che è serio, di ciò che non lo è, in quanto per noi, è esattamente la stessa cosa, è patafisica.”


Gran curatore delle attività del Collegio, Boris Vian, l’autore del più grande manifesto contro la guerra con la sua canzone che inneggia al disertore, si attribuì il compito di presentare agli altri convitati, agli eventuali, ai prossimi e ai venturi, il nuovo Magnifico in Capo Jean Mollet.


A fine dicembre gli aveva spedito una lettera su “Chi trucca la guerra” dove si poteva leggere: “Magnificenza, trasmetto la continuazione di questa conferenza. Doveva portarmi questa triste certezza: sì, ci stiamo ingannando; sì, le guerre sono fatte male; sì, ci sono sopravvissuti tra i combattenti. Oh! Immagino che Vostra Magnificenza alzerà le spalle. Si lascia trasportare, penserà, da un lieve sorriso e da quel movimento da chef che conosco bene. Ha qualche idea... Avremo montato il bourrichon... Ebbene no. Ho fatto la mia indagine; è conclusivo. La verità è terribile: tutto nero con rosé a chiazze; eccolo: in ogni guerra migliaia di combattenti tornano sani e salvi.“


La lettera, pubblicata nell’almanacco patafisica (25 giugno 1959) proseguiva: “ asterrò dall'insistere sulla pericolosità psicologica di questo triste stato di cose: è preciso, colossale, mostruoso;l'individuo che torna da una guerra ha, necessariamente, più o meno l'idea che non fosse pericoloso. Ciò contribuisce al fallimento del prossimo, e non fa sì che le guerre in generale vengano prese sul serio. Ma non sarebbe niente. Il combattente che non è stato ucciso conserva in sé una mentalità di fallimento; sarà desideroso di compensare questa mancanza e quindi aiuterà a preparare la prossima; ma come pretendi che lo prepari bene, visto che si è allontanato dal precedente e quindi, dal punto di vista della guerra, viene squalificato?”


Sua Magnificenza, l’ancora Vice Curatore del Collegio Patafisico, Jean Mollet di sicuro scosso dalle incontestabili asserzioni di Boris Vian non avrà potuto che approvarne le conclusioni: “Credimi: il giorno in cui nessuno torna da una guerra, è perché finalmente sarà stata ben fatta. Quel giorno, ci renderemo conto che tutti i tentativi falliti finora sono stati opera di burloni. Quel giorno, ci renderemo conto che basta UNA sola guerra per cancellare i pregiudizi che ancora si legano a questa modalità di distruzione. Quel giorno sarà, per sempre, inutile ricominciare.”


L’11 giugno del 1959 in compagnia del poeta Jacques Prevert e dello scrittore Raymond Queneau, Boris Vian insignisce della carica di Chief Jean Mollet, artista, frequentatore di Alfred Jarry e frequente frequentatore di locali parigini della Bella Epoque e frequentemente additato come creatore assieme al poeta Guillame Apollinaire di “Le Festin d’Esope”.


“Per il patafisico l'idea di verità è la più immaginaria fra tutte le soluzioni” (Enrico Baj)


il testo intero della lettera di Boris Vian a Jean Mollet si può leggere qui


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