GIORNO PER GIORNO 1 aprile - Nothing, niente, nada
- Andrea Colombu
- 1 apr 2021
- Tempo di lettura: 4 min
1 aprile 1968
Nothing, niente, nada

Non aspettatevi niente. No! Aspettatevi niente. Nothing, Nothing, Nothing, Nothing, Nothing, Nothing…Nessuno scherzo, nessun pesce d’aprile. No happening. Nothing!
Il 1° aprile del 1968 era previsto il primo Meeting della New York Correspondence School, dieci anni dopo il primo esempio di arte postale di Ray Johnson. In dieci anni, il geniale illustratore di Fluxus, delle locandine del Living Theatre, suggeritore di Andy Warhol, artista incursore e guastatore, aveva disseminato le sue opere d’arte invisibili utilizzando come vettore le cassette delle lettere, istoriando buste e, cartoline e francobolli. Collage di immagini scelte o trovate per caso. Dal 1960 con un gruppo di altre persone affascinate dall’arte della quotidianità, tra cui May Wilson e Marie Tavroges Stilkind aveva ideato un’improbabile scuola di mail art sul modello di quelle scuole per corrispondenza che permettevano di prendersi un diploma per aggiustare frigoriferi o radio a transistor. Come quelle scuole, anche Ray Johnson aveva usato per la sua mail art la condivisione/trasmissione postale tra professori e alunni ma rovesciando tutto. Niente problema da risolvere e rimandare indietro al prof. Niente rapporto di superiorità e inferiorità. L’artista inviava i suoi collage con la posta e invitava chi la riceveva ad arricchirla con altre immagini o a stravolgerla e a ri-inviarla a qualcun altro o al mittente.

Gli appuntamenti dei suoi meeting avevano però qualcosa di più, o se si vuole,di meno. Faceva bellissime locandine per eventi artistici inesistenti, ma verosimili o probabili, in luoghi inesistenti, ma affascinanti nel nome, con ben in evidenza i nomi di altri amici e artisti di Fluxus. Sino a creare un’evoluzione concreta del poema Nothing di John Cage del 1949 (“… Non ho niente da dire / e lo dico / e questa è poesia / come ne ho bisogno”, “il niente non è un piacere se si è irritati”, “non è irritante essere dove si è. È irritante solo pensare che si vorrebbe essere da qualche altra parte”). Il poema di Cage, poi compreso dodici anni dopo nella raccolta Silence, gioca sulle pause, i silenzi, la spaziatura e in teatro, nell’esecuzione di Robert Wison, ne ha avuto uno dei possibili esiti scenici: inchiodare ciascuno a interrogarsi sul tempo,su sé stessi, sulla fisicità del momento, seduti in una sala per un’ora. Ma probabilmente la parte zen, l’annullamento del sé, la contemplazione del nulla di Cage si perdeva. E anche la negazione dell’artista come protagonista separato dal fruitore.

Ray Johnson, giustamente definito “il più grande artista sconosciuto”, puntava più in alto. Ai suoi Nothing succedeva di tutto, ma non si capiva cosa. Gli invitati avevano la possibilità di avere un posto a sedere e di vedere gli altri che facevano qualunque cosa, o niente, scrivere, disegnare, prendere appunti, spostarsi, andarsene, scrivere alla lavagna, sbuffare. Giorni dopo sarebbe loro arrivato un dettagliato resoconto della serata, degli appunti, dei disegni. In parte vero, in parte impressioni, sensazioni. Oppure appuntamento in una galleria dove l’unica scena comprendeva il lancio di oggetti di legno per pochi secondi. E l’importante era il prima, il biglietto di convocazione, il presente, esserci, e il dopo, il resoconto, sempre postale.
Lewis Carroll, dopo il successo di Alice nel paese delle meraviglie e Oltre lo specchio, aveva raccontato in Sylvie e Bruno come possiamo osservare quello che accade davanti ai nostri occhi come se fosse un insieme di scene teatrali. Se osserviamo con attenzione, non solo con gli occhi, ci sembrerà che tutti recitino: si cammina in una certa maniera per abitudine o stato d’animo, si ha una faccia felice, normale, preoccupata, si è rilassati, frettolosi e tutto sembra a volte troppo ostentato, caricato, interpretato. Ma quando si sta in un luogo chiuso, o in fila, impossibilitati a stare a proprio agio, la finzione e la maschera comportamentale puntano all’eccesso.
Ma Ray Johnson, cosciente della lezione di Lewis Carroll, va oltre (“oltre lo specchio…”.).Il suo nulla dice che tutti siamo artisti, ciascuno può avere la sua visione, e ciascuno può cercare di ostacolare il proprio tumultuoso e prepotente ego.

Ray Johnson, come tutto il gruppo Fluxus aveva preso gusto al gioco, l’arte giocosa, inutile, anti-arte, senza protagonisti. Frequentava i raccoglitori di aerei di carta, i trasformatori di oggetti ritrovati, i ri-nominatori di cose, gli inventori di oggetti e vocaboli. Chiamava i suoi collage tridimensionali moticos. Aveva invitato la sua amica May Wilson a continuare i suoi interventi di trasformazione dell’estetica da rotocalco, ritagliando le pin up e i sex symbol costruendo centrini e ricami sforbiciati coi loro corpi, o collezionando (proprie)smorfie fototessera per irridere dei miti di età e bellezza. Ritagliava in continuazione figure e notizie bislacche, tenebrose, preoccupanti e le inviava come suggerimento a Andy Warhol, di sicuro l’artista con meno preoccupazione per annullamento dell’ego e per la spiritualità zen.
Giusto cinque anni prima, un giorno di aprile del 1963 Andy Warhol aveva ricevuto un ritaglio di un giornale, il Newsweek di Chicago del 1° aprile che riportava la notizia della morte per botulismo di due donne che avevano mangiato tonno in scatola. L’articolo, che precisava il nome delle donne e che il tonno era affumicato, riportava anche la foto delle donne e della scatoletta assassina. Warhol compone il suo Tunafish disaster con la ripetizione della fotografia sdoppiata a indicare la circolazione popolare della notizia e l’annotazione mentale che ciascuno fa dell’evento. Inaugura la sua serie di opere Death and Disaster ,scene orribili e non attinenti l’una con l’altra se non nella violenza della notizia e dell’impatto visivo: rivolte razziali, incidenti automobilistici, suicidi ed esplosioni nucleari, immagini della sedia elettrica. Come verrà studiato accademicamente in seguito, Warhol non faceva altro che rinominare, dandogli nuova dignità, il cattivo gusto e il sensazionalismo. Oggi si direbbe con un orribile termine che ha sdoganato il kitch, facendolo diventare un sublime riconoscibile.
Invece, cinque anni dopo, in quel primo aprile 1968, in quel primo meeting della sua Correspondence School, presso la Society of Friends Meeting House al Rutherford Place di New York, organizzato da Ray Johnson, tutti i presenti sono concordi in una cosa. Come previsto non successe niente e non c’era proprio niente da ricordare. E inutile dire che amiamo molto Ray Johnson e Fluxus.
Per questo, per il diritto e la voglia di prendere in giro anche noi stessi e le nostre certezze ci aggiungiamo un altro Nothing, quello scritto, musicato, inciso e gioiosamente eseguito chissà quante volte e con quante varianti, da Ed Sanders e Tuli Kupferberg coi Fugs: Nothing, niente, nada…
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